Se invitate la
gente a dire che cosa le viene in mente pensando alla pazienza, ottenete
risposte del genere: << Una donna rassegnata, un bue, una persona anziana
che fa passare il tempo >>. Invece, all’impazienza: << Un giovane
vivace, un capo che da ordini in modo imperioso, una donna bella e capricciosa
>>. Ci sono poi molti che considerano la pazienza e l’impazienza due
qualità innate, come sarebbero il colore degli occhi o la lunghezza del naso.
Alcuni addirittura si vantano dell’impazienza del marito o della moglie.
<< Non riesce a star ferma un momento, non sopporta le lungaggini
>> dicono, come se fosse una prova di vivacità intellettuale o di forza di
carattere. Sono invece convinto che la pazienza sia una virtù fondamentale. E,
tanto per cominciare, non è affatto innata. La pazienza si apprende, si
costruisce col ferreo esercizio della volontà. Il bambino è impaziente. Se ha
fame piange, se non c’è la mamma si dispera. L’adolescente è impaziente, morde
il freno per stare qualche ora fermo a scuola. Ma anche il bambino, anche il
ragazzo, se vogliono riuscire in uno sport, dal calcio alla pesca, devono
subito disciplinare i loro impulsi. Devono imparare a stare immobili, attenti,
e poi scattare quando è il momento, né un istante prima, né un istante dopo.
Devono ripetere pazientemente centinaia di volte lo stesso gesto per
perfezionarlo. Molta gente confonde la pazienza con la pigrizia, il
disinteresse, l’apatia. Stati psichici caratterizzati dalla mancanza di energia
vitale. Invece la pazienza è la capacità di controllare una grande energia
vitale senza farsene travolgere, ma indirizzandola a un fine. Nei momenti
difficili della vita noi dobbiamo essere capaci di perseguire tenacemente una
meta, di volerla con tutta la forza del nostro animo, eppure dobbiamo anche
saper aspettare. Come è più facile dare in escandescenze, sbattere una porta!
Difficile è sopportare la prima, la seconda, la terza sconfitta e, ogni volta, ricominciare,
ritessere le file, cercando nuove strade, nuove alleanze. Tutte le volte che
dobbiamo affrontare una grave prova, come un concorso, un affare, una malattia,
ma anche un amore, la vera difficoltà è saper resistere giorni e giorni, mesi e
mesi, alla più atroce incertezza. La pazienza, in questi casi, è il nome che
diamo al coraggio. Il coraggio è la virtù del cominciamento. La pazienza è la
virtù del ricominciamento. Perché deve rinascere ogni mattina, ogni ora, ogni
minuto. Per <<tener duro>> bisogna ricominciare a farlo
infinite volte. I giovani, finché sono in famiglia, possono permettersi di
essere impazienti, cioè di comportarsi come bambini protetti dai loro genitori.
Il momento della verità viene quando incominciano a lavorare. Allora, con
stupore, si accorgono che nessuno più corregge le loro intemperanze. E che ogni
errore devono pagarlo. E, da quel momento, ogni progresso professionale dipende
dalla loro capacità di osservare gli altri, di studiarli, di capirli. Siano
essi i colleghi, i clienti o i dirigenti. E anche quando viene il momento di
parlare, di dire le proprie ragioni, devono sapersi controllare, agire con
prudenza e pazienza. L’impazienza crea sempre panico e disagio attorno a sé e,
alla fine, si fa tutti nemici. Il padre padrone che, quando torna a casa, urla
ad ogni ritardo, il capoufficio che sbraita con la segretaria, il dirigente che
strapazza i suoi collaboratori. Costoro usano l’impazienza come strumento di
dispotismo e avvelenano la vita e il lavoro degli altri. Chi vuole riuscire non
può permettersi questi capricci. A cominciare dal venditore che deve porsi dal
punto di vista del cliente, sempre gentile, sempre paziente. Ma anche il grande
manager, se vuole ottenere il consenso dei suoi collaboratori, se vuole motivarli
davvero, deve essere pronto ad ascoltarli, a parlare, a spiegare, a
giustificare, come fa l’allenatore di una squadra. Deve mettercela tutta, e
prodigarsi, prodigarsi; e ne deve avere di pazienza!
Tratto da
“L’ottimismo” di Francesco Alberoni. Fabri editori- Corriere della Sera 1995.
Dott. Renato Porcelli
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