martedì 24 marzo 2015

“NON MANGIO PER POTER BERE ALCOLICI”: LA DRUNKORESSIA

Si chiama drunkoressia, ed è una “moda” che, partendo dall’America, si è diffusa anche in Europa e in Italia. Coinvolge soprattutto adolescenti e giovani maggiorenni.
La drunkoressia è una vera e propria patologia del comportamento alimentare, che consiste nell’assoluto digiuno quotidiano, al quale si affianca la costante e smodata assunzione di alcolici alla sera.
La motivazione che spinge le adolescenti ad assumere tale comportamento risiede nell’obbligo che esse percepiscono, soprattutto dai mass media, di indossare una taglia 38, pur bevendo cocktails. Risapute, infatti, sono le elevate calorie presenti nei drink alcolici, così come sono ben conosciute le sensazioni di disinibizione che essi permettono di raggiungere.
Al fine di ottenere entrambi questi risultati, ovvero una linea impeccabile (a loro dire) e il divertimento tramite le sbronze, adottano tale tipo di abitudine, che in alcun modo deve essere sottovalutata.
In aggiunta è necessario sottolineare che lo “sballo” arriva molto più facilmente dal momento che le ragazze, e in una minor quantità anche i ragazzi, non hanno assunto cibo di alcun tipo nel corso di tutta la giornata, se non addirittura nel corso dell’intero week-end.
Ma cosa spinge, soprattutto le ragazzine, ad adottare tale assurdo comportamento alimentare? Innanzitutto le copertine dei magazine, la moda, la televisione, il cinema, che costantemente trasmettono immagini e soprattutto messaggi (la cui correttezza lascia perplessi) in merito alla forma perfetta, alle misure perfette, alla taglia che bisogna indossare e soprattutto a quella che non bisogna indossare. Messaggi questi che, ascoltati da ragazzine in fase di sviluppo, e che attraversano un periodo molto delicato della loro vita, trovano terreno fertile, e che facilmente vengono captati e trasformati in abitudini quotidiane.
In aggiunta, sempre più spesso i mass media trasmettono pubblicità ed immagini in cui l’alcol favorisce le relazioni sociali, soglie il ghiaccio e la timidezza e facilita conoscenze che, da lucidi, sarebbe difficile instaurare. Ciò permette anche agli adolescenti più introversi di fare nuove conoscenze ed esperienze, senza essere vincolati dal loro carattere.
Questo spiega anche perché la drunkoressia colpisce prevalentemente il genere femminile che quello maschile: sono pochi i ragazzi che si lasciano influenzare dalle pubblicità, e che di conseguenza ricercano una forma fisica asciutta e longilinea. In poche parole i maschi non sentono il bisogno di dover equilibrare le calorie tra cibo e
alcol.

Inoltre, pare che proprio le modelle abbiano dato inizio a questa “moda”. Non troppi anni fa, si accorsero che l’alcol le faceva sentire sazie, e che di conseguenza se bevevano potevano evitare di mangiare e dunque non ingrassare. Ciò dà origine ad un circolo vizioso, per cui non si mangia per poter bere, e si beve per evitare di mangiare.
L’insieme di tutti questi fattori ha causato, sempre più oggigiorno, la diffusione di tale patologia alimentare. A tal proposito gli studiosi e gli esperti hanno coniato il termine di drunkoressia, determinato dall’unione di “drunk” che in inglese significa ubriaco, e anoressia.
La drunkoressia, è infatti una variante dell’anoressia che tutti, ai giorni nostri, conoscono.
Questa semplice definizione permette di far comprendere quella che è la pericolosità di tale allarmante abitudine.
Le ragazzine infatti, vanno incontro ai danni causati sia dall’anoressia, che dalle dosi massicce di alcol assunte. Saranno dunque affette da amenorrea (mancanza del ciclo mestruale), osteoporosi, danni al cuore, al sangue, all’esofago, ai reni, al fegato, e nei casi più gravi, riporteranno anche cirrosi epatica. Un quadro clinico molto pesante, che può addirittura, in alcuni casi, portare alla morte.
Sarà per questo necessario fare molta attenzione ai primi campanelli di allarme che permetteranno di evitare che la situazione si complichi ulteriormente. I primi sintomi saranno: sbalzi d’umore, aggressività, rifiuto del cibo, drastica ed immotivata diminuzione di peso, ed ovviamente un consumo eccessivo di alcol. Ma anche l’ossessione per l’aspetto fisico.
Le cure che sono disponibili per tale patologia sono quelle che sono predisposte per la cura dell’anoressia, e dunque psicoterapia familiare, psicoterapia individuale e/o di gruppo, rinutrizione e nei casi più complessi anche la somministrazione di farmaci.
La psicoterapia familiare, in particolare, svolge un ruolo molto importante per la cura di tale patologia: comprendere le dinamiche che si realizzano all’interno del nucleo familiare permette di capire come l’adolescente sia arrivata ad eliminare completamente il cibo dalla propria quotidianità e a sostituirlo con l’alcol, senza che i genitori potessero accorgersi di tale malata abitudine.
Naturalmente per raggiungere un buon risultato, la psicoterapia deve anche essere affiancata da una vera e propria disintossicazione da alcol.

Dott.ssa Monaco Iolanda
Laureata in Psicologia presso l'Università G. D'Annunzio di Chieti e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus

giovedì 5 marzo 2015



L'uomo parla. Noi parliamo nella veglia e nel sonno. Parliamo sempre, anche quando non proferiamo parola, ma ascoltiamo o leggiamo soltanto, perfino quando neppure ascoltiamo o leggiamo, ma ci dedichiamo a un lavoro o ci perdiamo nell'ozio. In un modo o nell'altro parliamo ininterrottamente.

             -Heidegger-

Come superare la resistenza al cambiamento


Ci sono persone più resistenti di altre al cambiamento, ma, in generale, la stragrande maggioranza di noi non ama molto il cambiamento. Troviamo difficile abituarci al cambio di stagione, al cambiamento del fuso orario o della dieta. Per non parlare dei cambiamenti più importanti, quelli che avvengono sul lavoro o nelle dinamiche familiari.
Quando percepiamo che la trasformazione è troppo forte, ci irrigidiamo e si presenta ciò che in psicologia si conosce come “resistenza al cambiamento”. Fondamentalmente, si tratta di un meccanismo attraverso il quale cerchiamo di mantenere le cose come prima. Tuttavia, quando cambiano le condizioni, questa resistenza serve solo ad affaticarci, sia fisicamente che mentalmente. La buona notizia è che non è necessario arrivare a questo punto: è possibile evitare la resistenza al cambiamento molto tempo prima che questa si presenti.

5 passi per imparare ad accettare il cambiamento:


1. Immaginare il peggiore scenario possibile
L’aspettativa spesso non è una buona consigliera, soprattutto quando è irrealistica. Pertanto, quando dovete affrontare un cambiamento, non ripetetevi frasi come: "non è nulla, sarà facile da affrontare", perché probabilmente non sarà così.
Invece, immaginate il peggior scenario possibile. Dare libero sfogo per pochi minuti al vostro pensiero catastrofico, quando tornerete alla realtà vi renderete conto che non era tutto così negativo come pensavate. Infatti, uno studio ha dimostrato che si tende ad ingigantire le conseguenze emotive degli eventi negativi, riducendone al minimo i lati positivi.
Con questo trucco è possibile equilibrare le vostre aspettative e il cambiamento sarà meno opprimente di quanto pensavate e quindi genererà meno resistenza.

2. Essere consapevoli della resistenza emotiva
Uno dei problemi principali che ha generato la nostra società è sicuramente la repressione delle emozioni. Si suppone che non dovremmo provare ira, rabbia o tristezza, dobbiamo essere sempre di buon umore e disponibili. Questo fa sì che reprimiamo le nostre emozioni e ci rifiutiamo di identificarle. Tuttavia, il fatto che non gli diamo un nome non significa che non esistano.
Per evitare la resistenza al cambiamento è importante imparare a riconoscere ciò che sentiamo. È normale che i primi giorni si provi un certo disagio e che ci sentiamo impotenti o turbati. Sono reazioni perfettamente comprensibili davanti al cambio. Se si nascondono si otterrà solo di aumentare la resistenza al cambiamento, ma se si accettano, si potrà voltare pagina più velocemente adattandosi alle nuove circostanze.

3. Cambiare i vostri pensieri
Durante le prime fasi è normale avere dei dubbi. È come tuffarsi in una piscina di acqua fredda, il cambiamento è così drastico che ci chiediamo che cosa stiamo facendo e avremo la tendenza ad uscirne. Tuttavia, se si resiste e si supera la resistenza iniziale, dopo un po’ ci si sentirà a proprio agio. Non è che l'acqua sia ora più calda, ma siamo noi che ci siamo abituati.
Per superare la resistenza al cambiamento non basta riconoscere le vostre emozioni, è importante anche essere consapevoli dei vostri pensieri. Ad esempio, invece di pensare: "voglio scappare, non mi piace questa situazione", pensate invece, "ho paura perché si tratta di una situazione nuova, ma alla fine mi ci abituerò." Ricordate sempre che i vostri pensieri hanno una forte influenza sulle vostre emozioni per cui è importante avere dei pensieri più sereni e coerenti con la realtà.

4. Esplorare le nuove situazioni
Spesso la resistenza al cambiamento si presenta perché non vogliamo cambiare i vecchi modelli impostati precedentemente, ma anche perché non conosciamo bene la nuova situazione. Quindi, un ottimo modo per evitare la resistenza al cambiamento è quella di fare in modo di sperimentare gradualmente le nuove circostanze. Cercate di affrontarle con l'atteggiamento di un bambino, con curiosità e senza pregiudizi. Se ne avete bisogno, non esitate ad appoggiarvi alle persone che hanno vissuto la stessa situazione in precedenza, chiedete loro che cosa hanno fatto e quali strategie sono risultate loro più utili.

5. Concentratevi negli aspetti positivi
Ogni situazione nuova comporta aspetti positivi e negativi. Quando le emozioni ci accecano spesso non siamo in grado di vedere entrambi gli aspetti, ma è essenziale imparare a concentrarsi negli aspetti positivi del cambiamento. Se necessario, elencateli su di un foglio. Molto presto vi renderete conto che esiste qualche opportunità di crescita.
Finirai per trovarla la via... se prima hai il coraggio di perderti.
                   -Tiziano Terzani-

mercoledì 4 marzo 2015

Perché l’amore è cieco?



Si racconta che un giorno si riunirono in un luogo della terra tutti i sentimenti e le qualità degli uomini. Quando la noia si fu presentata per la terza volta, la follia, come sempre un po’ folle, propose: “Giochiamo a nascondino!”.
L’interesse alzò un sopracciglio e la curiosità, senza potersi contenere, chiese: “A nascondino? Di che si tratta?”.
“É un gioco, – spiegò la follia – in cui io mi copro gli occhi e mi metto a contare fino a 100 mentre voi vi nascondete e, quando avrò terminato di contare, il primo di voi che scopro prenderà il mio posto per continuare il gioco”.
L’entusiasmo si mise a ballare, accompagnato dall'euforia. L’allegria fece tanti salti che finì per convincere il dubbio e persino l’apatia alla quale non interessava mai niente.
Però non tutti vollero partecipare: la verità preferì non nascondersi (perché avrebbe dovuto se poi alla fine tutti la scoprono?), la superbia pensò che fosse un gioco molto sciocco (in fondo ciò che le dava fastidio era che non fosse stata una sua idea) e la codardia preferì non rischiare.
“Uno, due, tre…” cominciò a contare la follia.
La prima a nascondersi fu la pigrizia, che si lasciò cadere dietro la prima pietra che trovò sul percorso, la fede volò in cielo e l’invidia si nascose all’ombra del trionfo che, con le proprie forze, era riuscito a salire sulla cima dell’albero più alto.
La generosità quasi non riusciva a nascondersi: ogni posto che trovava le sembrava meraviglioso per qualcuno dei suoi amici.
Che dire di un lago cristallino? Ideale per la bellezza.
Le fronde di un albero? Perfetto per la timidezza.
Le ali di una farfalla? Il migliore per la voluttà.
Una folata di vento? Magnifico per la libertà.
Così la generosità finì per nascondersi in un raggio di sole.
L’egoismo, al contrario, trovò subito un buon nascondiglio, ventilato, confortevole e tutto per sé, la menzogna si nascose sul fondale degli oceani (non è vero, si nascose dietro l’arcobaleno), la passione e il desiderio al centro dei vulcani.
L’oblio non mi ricordo dove.
Quando la follia arrivò a contare 99, l’amore non aveva ancora trovato un posto dove nascondersi poiché li trovava tutti occupati, finché scorse un cespuglio di rose e alla fine decise di nascondersi tra i suoi fiori.
“Cento!” – contò la follia, e cominciò a cercare.
La prima a comparire fu la pigrizia, solo a tre passi da una pietra. Poi udì la fede, che stava discutendo con Dio su questioni di teologia, e sentì vibrare la passione e il desiderio dal fondo dei vulcani. Per caso trovò l’invidia, e poté dedurre dove fosse il trionfo. L’egoismo non riuscì a trovarlo: era fuggito dal suo nascondiglio, essendosi accorto che c’era un nido di vespe. Dopo tanto camminare, la follia ebbe sete, e nel raggiungere il lago scoprì la bellezza.
Con il dubbio le risultò ancora più facile, giacché lo trovò seduto su uno steccato senza avere ancora deciso da che lato nascondersi.


Alla fine trovò un po’ tutti: il talento nell'erba fresca, l’angoscia in una grotta buia, la menzogna dietro l’arcobaleno, infine l’oblio, che si era già dimenticato che stava giocando a nascondino.
Solo l’amore non le appariva da nessuna parte.
La follia cercò dietro ogni albero, dietro ogni pietra, sulla cima delle montagne. Proprio quando stava per darsi per vinta scorse il cespuglio di rose e cominciò a muoverne i rami, quando, all’improvviso, si udì un grido di dolore: le spine avevano ferito gli occhi dell’amore!
La follia non sapeva più che cosa fare per discolparsi: pianse, implorò, domandò perdono e arrivò fino a promettergli di seguirlo per sempre.
L’amore accettò le scuse.
Da allora l’Amore è cieco e la Follia lo accompagna sempre.

Cedere alle tentazioni: Desiderio o scarso autocontrollo?




Immaginate che all'interno del vostro cervello vi sia una bilancia che oscilla continuamente. Da un lato incontriamo il sistema del desiderio, che comprende le reti legate alla ricerca del piacere e della ricompensa.
Dall'altra parte troviamo il sistema dell’autocontrollo, quelle aree cerebrali che lanciano l’allarme quando vogliamo intraprendere qualsiasi cosa che potrebbe essere pericolosa o che non ci apporta nulla di buono. Tuttavia, perché è così difficile mantenere equilibrata questa bilancia? Perché lasciamo spesso che a vincere sia il sistema del desiderio a scapito dell’autocontrollo?

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il problema non dipende sempre dal fatto che pensiamo eccessivamente alle cose che desideriamo o che le tentazioni intorno a noi aumentino. Un studio sviluppato di recente dalle università del Texas, di Yale e la UCLA, suggerisce che la chiave sta nel fatto che esercitiamo troppo autocontrollo.
Questi ricercatori hanno chiesto ai partecipanti allo studio di prendere parte ad un gioco che includeva l’assunzione di determinati rischi. Mentre le persone giocavano i loro cervelli erano sottoposti a scansione. Gli psicologi utilizzarono un software specifico per cercare nel cervello degli schemi di attività che potessero prevedere quando qualcuno stava per prendere una decisione rischiosa o, al contrario, quando sceglieva un comportamento più sicuro.
Tuttavia, la parte interessante dello studio consistette nel fatto che i ricercatori furono in grado di identificare le specifiche regioni cerebrali associate ai comportamenti a rischio: quelle coinvolte nel “controllo esecutivo” e che svolgono un ruolo chiave nell'attenzione, nella concentrazione e nel processo decisionale. Grazie a questo software è stato possibile osservare che quando una persona intraprende un comportamento a rischio o semplicemente ci sta pensando, si riscontra una diminuzione dell’intensità in queste regioni.
Tornando all'analogia della bilancia, questo studio suggerisce che non cediamo alle tentazioni perché il nostro desiderio si è intensificato, ma perché fallisce il nostro sistema di autocontrollo, facendo sì che la bilancia si inclini pericolosamente.


Naturalmente, ci sono numerosi fattori che minano il nostro autocontrollo intaccandone la forza, tra i quali possiamo citare la mancanza di sonno, il consumo d’alcol e, sorprendentemente, anche l’abitudine di esercitare “troppo” autocontrollo. Cioè, il nostro autocontrollo non è infinito e, se passiamo tutta la giornata negandoci alcuni piccoli capricci, alla fine cederemo alle tentazioni.
Dobbiamo essere indulgenti con noi stessi identificando le cose davvero importanti sulle quali dirigere il nostro autocontrollo o rischiamo che quando ne avremo realmente bisogno questo sia esaurito. Pensate all'autocontrollo come ad una batteria che si ricarica solo dopo un profondo sonno ristoratore.

13 cose che le persone consapevoli fanno in modo diverso ogni giorno



Attualmente la pratica della Mindfulness non è più un’attività riservata ad un pubblico new age, ma è vista come un antidoto allo stress, al burnout, alla dipendenza da tecnologia, alla “distrazione digitale” e ad una costante operosità (…). Vi sono sempre più evidenze scientifiche a sostegno di questa pratica che dimostrano come essa sia un intervento estremamente efficace per una vasta gamma di problemi di salute fisica e mentale. (…)
Ma che cosa significa veramente essere una persona mindful? E cosa fanno le persone mindful ogni giorno per vivere più consapevolmente?
La Mindfulness è una pratica che consiste nel coltivare una consapevolezza focalizzata sul momento presente. (…) E’ più comunemente praticata attraverso la meditazione, ma può essere coltivata anche senza ricorrere all’attività meditativa.
“E’ la consapevolezza che nasce dal porre attenzione volontariamente al momento presente, senza giudizio”, ha spiegato Jon Kabat-Zinn , fondatore della tecnica Stress Reduction Mindfulness Based (Tecnica di riduzione dello stress basata sulla mindfulness – MBSR ) (…) “Detta così sembra abbastanza semplice… in realtà quando cominciamo a prestare attenzione a quanto prestiamo attenzione, ci accorgiamo che per la metà del tempo la nostra mente è in tutt’altro luogo e capiamo che mantenere l’attenzione è molto difficile ” (….)
Ecco 13 cose che le persone mindful fanno ogni giorno per essere calme, attente e centrate sul momento presente.
1. CAMMINANO - Nella nostra cultura da superlavoro (…), nella quale siano perennemente connessi e continuamente distratti da moltissime cose importanti delle nostre vite, come possiamo ritrovare la nostra creatività, la nostra saggezza, la nostra capacità di stupirci, il nostro benessere e la nostra capacità di sintonizzarci con ciò che ha realmente valore? “Solvitur ambulando”, dicevano i latini, che significa “Si risolve camminando”. Secondo uno studio inglese del 2013, camminare in uno spazio verde può indurre il cervello in uno stato meditativo. L’atto di camminare in un tranquillo scenario all’aria aperta sembrerebbe innescare uno stato di “attenzione involontaria”, nel quale è possibile coniugare attenzione e riflessione.
2. TRASFORMANO I COMPITI QUOTIDIANI IN MOMENTI DI CONSAPEVOLEZZA - La Mindfulness non è qualcosa che si pratica in una sessione di meditazione mattutina di 10 minuti. Essa può essere incorporata nella vita quotidiana semplicemente facendo un po’ di attenzione in più alle normali attività mentre vengono praticate. L’applicazione per Iphone di meditazione Headspace consiglia: “la Mindfulness inizia a diventare davvero interessante quando possiamo iniziare ad integrarla nella nostra vita quotidiana. Ricordate: “consapevolezza” significa essere presenti, in questo momento. E se si può fare mentre siete seduti su una sedia, perché non farlo anche quando fate shopping, bevete una tazza di tè, mangiate, passate del tempo con il vostro bambino, lavorate al computer o chiacchierate con un vostro amico? Tutte queste situazioni sono opportunità per esercitare la Mindfulness, per essere consapevoli”.
3. CREANO - Mindfulness e creatività vanno di pari passo: la pratica Mindfulness aumenta il pensiero creativo, e ingaggiarsi in attività creative permette di entrare in un flusso di aumentata consapevolezza e coscienza. Molti grandi artisti, pensatori, scrittori e altri creativi (da David Lynch a Mario Batali a Sandra Oh) hanno dichiarato che la meditazione li aiuta ad accedere ad uno stato mentale di intensa creatività. Nel suo libro Big Fish: Meditation, Consciousness and Creativity, Linch utilizza per spiegare questo concetto la metafora dei pesci: “Se vuoi prendere un pesce piccolo, puoi restare nell’acqua bassa, ma se vuoi prendere il pesce grosso, devi andare più in profondità”. Se volete diventare più consapevoli ma siete spaventati da una pratica di meditazione silenziosa, provate ad ingaggiarvi nella vostra attività creativa preferita, che sia cucinare, scarabocchiare, cantare sotto la doccia, e guardate come i vostri pensieri si acquietano”. (…)
4. FANNO ATTENZIONE AL LORO RESPIRO - Il nostro respiro è un “barometro” per il nostro stato fisico e mentale – ed è anche il fondamento della consapevolezza. Come le persone mindful sanno bene, calmare il respiro è la chiave per calmare la mente. Il maestro di meditazione Thich Nhat Hahn, nell’opera Shambhala Sun, descrive così la più efficace pratica meditativa: «L’oggetto della vostra consapevolezza è il vostro respiro, e dovete solo concentrare l’attenzione su di esso. Ispirando. Espirando. Se lo fate, il flusso dei vostri pensieri si fermerà. Non penserete più a nulla. Non dovrete sforzarvi di stoppare il vostro pensiero. Portate l’attenzione sul respiro ed il pensiero si acquieterà di conseguenza. Non penserete al futuro o al passato perchè tutta la vostra attenzione e consapevolezza sarà focalizzata sul vostro respiro”
5. FANNO UNA COSA ALLA VOLTA - Il multitasking è nemico della capacità di focalizzarsi: molti di noi trascorrono le loro giornate in uno stato di “attenzione divisa” e quasi costante multitasking, e ciò ci allontana dal vivere realmente nel presente. Alcuni studi hanno mostrato che quando le persone sono interrotte e dividono la loro attenzione, impiegano il 50 % del tempo in più per portare a termine un compito e hanno il 50% di probabilità in più di fare errori. “Piuttosto che dividere la nostra attenzione su vari compiti, è molto più efficace prendersi frequenti pause tra piccole sessioni di attenzione sostenuta e focalizzata su un solo compito”. Consiglia Sharon Salzberg, autrice di “Real Happiness at Work”. “Sfatando il mito del multitasking, diventiamo più bravi in quello che facciamo e incrementiamo le nostre chance di ricordarci i dettagli di ciò che abbiamo fatto nel passato”. La modalità consapevole, suggerisce Salzberg, consiste nel focalizzarsi completamente su un compito per un periodo di tempo e poi prendersi una pausa prima di continuare o di muoversi verso un nuovo compito.
6. SANNO QUANDO NON CONTROLLARE IL LORO CELLULARE - Le persone mindful hanno una relazione sana con i loro cellulari, poichè stabiliscono e rispettano una serie di specifici parametri d’uso. Questi parametri includono, ad esempio: non iniziare o finire mai la giornata controllando le mail, lasciare possibilmente il cellulare in una stanza diversa da quella in cui si dorme, scegliere di non usare le apparecchiature elettroniche in alcuni momenti, come di sabato o quando si è in vacanza. Ma, più importante, spengono il telefono quando trascorrono del tempo con le persone che amano. Una conseguenza sfortunata della dipendenza dalla tecnologia e dello stare troppo tempo con gli occhi fissi sullo schermo è che ci impedisce di entrare veramente in contatto con gli altri. Pat Christen dell’Hopelab CEO (…) ha dichiarato “Mi sono accorto ad un certo punto che avevo smesso di guardare negli occhi i miei figli. Questo mi ha shoccato!”. Coloro che interagiscono in modo mindful con gli altri guardano oltre il loro schermo e negli occhi di coloro con cui stanno parlando e, facendo questo, sviluppano e mantengono connessioni maggiori in tutte le loro relazioni.
7. CERCANO NUOVE ESPERIENZE - L’apertura all’esperienza è una conseguenza del vivere mindful, in quanto coloro che danno priorità alla consapevolezza e alla pace della mente tendono ad assaporare ogni momento della vita. A questo proposito, l’avventuriero Renee Sharp ha spiegato: “L’avventura può naturalmente insegnarci a vivere nel qui e ora (…) “Risveglia i nostri sensi. Ci insegna ad abbracciare sia le emozioni piacevoli che quelle difficili. A camminare verso l’ignoto. A trovare l’equilibro tra il controllarsi e il lasciarsi andare. Ad imparare a sorridere anche quando soffrono le correnti della paura”.
8. ESCONO - Trascorrere tempo in mezzo alla natura è uno dei modi più potenti per darci un “re-start” mentale e per ripristinare un senso di benessere e piacere. I ricercatori hanno mostrato che stare all’aria aperta può alleviare lo stress, ma anche aumentare il livello di energia, la memoria e l’attenzione. (…)
9. SI CONCEDONO DI PROVARE LE EMOZIONI CHE SENTONO DENTRO - La mindfulness non coincide con l’essere sempre felici. Essa è accettare il momento che stiamo vivendo e dare spazio a qualsiasi emozione proviamo senza cercare di resistere e controllarla. Preoccupazioni eccessive circa l’essere felice possono essere controproducenti, conducendo a un atteggiamento poco sano nei confronti di emozioni ed esperienze negative. Le persone mindful non cercano di evitare emozioni negative, piuttosto accettano sia le emozioni positive che negative e lasciano che differenti emozioni coesistano, affrontando le sfide della vita in modo consapevole. La meditazione, la quintessenza della pratica della mindfulness, ha mostrato di essere molto efficace in interventi di gestione delle sfide emozionali, come ansia, depressione e stress. Uno studio del 2013 ha mostrato che le persone con personalità mindful godono di una maggior stabilità emozionale e migliore qualità del sonno. (…)
10. MEDITANO - Si può essere mindful anche senza meditare, ma le ricerche sono concordi nel sostenere che la meditazione è il mezzo più efficace per diventare più consapevoli. Una pratica regolare può contribuire a ridurre lo stress, migliorare le funzioni cognitive e il benessere generale. Alcune ricerche hanno mostrato che la meditazone può addirittura intervenire sull’espressione genica, abbassando la risposta infiammatoria del corpo. A parte la ricchezza delle ricerche sui benefici fisici e mentali della meditazione, le testimonianze di innumerevoli meditatori attestano che una pratica costante può aiutare a mantenersi consapevoli e presenti nelle proprie vite. “E’ quasi come una restart per il cervello e per l’anima” Ha commentato al NY Times Padmasree Warrior, CTO di Cisco, (…) che ha anche dichiarato di prendersi periodicamente del tempo per meditare e scollegarsi dalla rete. “Mi rende molto più tranquilla quando, più tardi, rispondo a tutte le mail”.
11. SONO CONSAPEVOLI DI Ciò CHE INTRODUCONO NEI LORO CORPI E NELLE LORO MENTI  - Molto spesso introduciamo cibo nel nostro corpo senza prestare alcuna attenzione a ciò che stiamo mangiando e a quando ci sentiamo sazi. Le persone mindful hanno imparato ad ascoltare i loro corpi: si nutrono con cibi sani, preparati e mangiati con cura. La consapevolezza nel mangiare consiste nel concentrarsi completamente sull’atto di mangiare e prendersi il proprio tempo per farlo, prestando attenzione ai gusti e alle sensazioni. (…) Le persone mindful sono anche attente a non nutrire le loro menti con “cibo spazzatura” come televisione e social media in eccesso e altre “calorie” psicologiche. (…)
12. SI RICORDANO DI NON PRENDERSI TROPPO SUL SERIO - (…) Un fattore critico nel coltivare una personalità mindful è rifiutare di essere schiacciato e sbattuto qua e là dall’intensità emotiva. (…) Mantenere il senso dell’umorismo circa i problemi che ogni giorno incontriamo nella nostra vita, ci permette di affrontarli meglio. Una ricerca presso l’University of California di Berkeley e l’Università di Zurigo ha scoperto che la capacità di ridere di se stessi è associata con umore elevato (…). Ridere inoltre ci porta nel momento presente in modo consapevole. Secondo un nuovo studio, inoltre, risate e meditazione accenderebbero aree simili nel cervello.
13. LASCIANO CHE LA LORO MENTE VAGHI - Mentre la mindfulness ha a che fare con il focalizzarsi sul presente, il mind-wandering riguarda il vagare con la mente. Anche quest’ultimo riveste un’importante funzione psicologica e le persone mindful sono capaci di trovare un giusto mezzo tra la due modalità di pensare. Una domanda intelligente consiste nel chiedersi se si dovrebbe SEMPRE vivere nel momento presente. Una recente ricerca sull’immaginazione e sulla creatività ha mostrato che se si è sempre nel momento presente, si perdono alcune importanti connessioni tra la nostra mente più profonda e il mondo esterno. Ingaggiarsi in pensieri immaginativi e fantasticare può renderci addirittura più mindful. La ricerca ha trovato che coloro che sognano ad occhi aperti sono più positivi e hanno punteggi più alti di consapevolezza.





martedì 3 marzo 2015

Le persone insopportabili che violano i nostri diritti




Vi siete mai chiesti come sarebbe il mondo se tutti si comportassero come voi? Questa è una domanda che mi ha sempre ossessionato, ma che fatica ad uscire dalla mia bocca ogni qualvolta il vicino di casa alza il volume della musica a tal punto che anche gli alieni (nel caso improbabile che esistano), sarebbero costretti a indossare tappi per le orecchie sul loro pianeta.
Oppure ogni volta che sono in fila in un ufficio pubblico e qualcuno parla al telefono a voce così alta da obbligarmi a conoscere le disgrazie della cugina Juanita (dettaglio che ovviamente avrei preferito risparmiarmi). Oppure ogni volta che qualcuno occupa due posti auto, anche se la sua micro automobile starebbe perfettamente in un terzo dello spazio. O quando qualcuno getta rifiuti a terra, anche se ha a disposizione un cestino della spazzatura proprio ad un centinaio di metri di distanza.
Insomma, gli esempi sono molti, purtroppo, troppi per elencarli tutti. Tuttavia, tutti hanno un minimo comune denominatore: queste persone pensano di essere sole al mondo, anche se gli basterebbe guardarsi intorno per capire che non è così.
Perché alcune persone se ne fregano ampiamente di tutto e tutti?
- Egocentrismo. Quando un bambino è molto piccolo si comporta in modo egocentrico. Vuole catturare l'attenzione e l'affetto dei genitori e non ama condividere le sue cose. Ma crescendo dovrebbe disfarsi di tale egoismo cominciando a capire come la pensano gli altri. Quando il bambino scopre la teoria della mente inizia ad abbandonare il suo egocentrismo e comincia a sviluppare empatia. Tuttavia, a quanto pare ci sono molte persone che sono rimaste bloccate nella fase dell’egocentrismo, presumono che le loro esigenze siano di primaria importanza e non vogliono riconoscere le esigenze ei diritti degli altri. Si comportano come i bambini.
- La mancanza di empatia. In teoria, l'empatia è una capacità che tutti noi abbiamo e che si basa sul lavoro dei neuroni specchio. Se vediamo qualcuno soffrire, nel nostro cervello vengono attivate alcune aree legate al dolore. Così possiamo farci un'idea di ciò che l'altra persona sta provando, ci mettiamo nei suoi panni. Quando abbiamo sviluppato una buona empatia, possiamo pensare come si sente l'altra persona se ci comportiamo in un determinato modo e, quindi, possiamo anche regolare il nostro comportamento di conseguenza. Ovviamente, le persone che violano sistematicamente i diritti altrui non sono molto brave a mettersi nei panni degli altri, non pensano molto alle conseguenze delle loro azioni.


- Questione di abitudine. Alcune persone invadono il vostro spazio vitale semplicemente perché non si rendono conto di farlo. Hanno acquisito certe abitudini che spesso provengono dall'ambiente in cui sono cresciute, e credono che questi comportamenti siano normali e tollerabili. In realtà, non è sorprendente scoprire che i bambini e gli adolescenti che gridano stanno sono solo imitando lo stile di comunicare dei loro genitori. Restando alieni alle regole di base dell’educazione formale, queste persone non le rispettano e spesso finiscono per violare i diritti di coloro che le circondano.
- Rigidità funzionale. La flessibilità di adattare il comportamento alle esigenze delle diverse situazioni che ci troviamo ad affrontare tutti i giorni è una competenza che non tutti hanno sviluppato. Di conseguenza, queste persone mostrano praticamente gli stessi modelli di comportamento a casa, al bar o in ufficio. Si tratta di ciò che viene denominata: "rigidità funzionale" e si riconosce dal fatto che queste persone “stonano” in molti luoghi, perché non sanno adattarsi al contesto.
- Egoismo puro e semplice. Ci sono persone che se ne fregano di tutto e di tutti, semplicemente perché a loro non importa nulla di violare consapevolmente i diritti degli altri. Mentre le persone egocentriche sono bloccate nel loro mondo e difficilmente si rendono conto che esistono anche gli altri, l’egoista è consapevole delle conseguenze delle sue azioni, sa che può risultare fastidioso per un'altra persona, ma se ne frega ampiamente. L'esempio tipico è la persona che non riconosce mai i propri errori e si arrabbia parecchio quando glieli fate notare. Per questa persona, il problema non è suo, è vostro, siete voi che dovete adattarvi al suo stile di vita, anche se questo suppone un enorme seccatura per voi, un fastidio che si sarebbe potuto evitare con un piccolo gesto da parte sua. Un atto che, manco a dirlo, non arriva mai.
Trattare con le persone che se ne fregano degli altri è abbastanza complicato, soprattutto perché non ammettono quasi mai che si sbagliano e, in ultima analisi, il cattivo siete sempre voi, non importa cosa sanciscono le “Convenzioni di Ginevra”.
Tuttavia, dal momento che la speranza è sempre l'ultima a morire, possiamo tentare di vedere come porre fine a questi comportamenti. Innanzitutto è sempre meglio non affrontare la persona appena ha commesso il "fatto", perché in quel momento voi sareste troppo nervosi e la persona sarà meno disposta a cedere. Idealmente, sarebbe consigliabile farlo il giorno dopo commentandogli che non vi è piaciuto il suo comportamento. Non fatelo con tono recriminatorio, ma con l'intenzione di trovare una soluzione accettabile per entrambi.
In questo caso, è possibile utilizzare la tecnica del “sandwich”, che mira a far giungere una critica in modo che questa sia ben accettata. Iniziate indicando una qualità positiva della persona, poi passate a segnalare cosa pensate che dovrebbe migliorare e concludete con delle parole di incoraggiamento.
Nel caso si tratti di una persona che non tornerete a vedere, ma che vi dà fastidio, usate un tono amichevole ma deciso, e senza esitazione. Scegliete una breve frase e offrite una altrettanto breve spiegazione. Ad esempio, potreste dire: "Potresti parlare con un tono più basso, mi fa molto male la testa". È stato dimostrato che quando includiamo un motivo nelle nostre richieste questo aumenta le probabilità che l'altra persona accetti.
Infine, esiste sempre la arcinota tecnica dello struzzo che non è meno efficace. Infatti, considerando che non possiamo cambiare il mondo ci toccherà adattarci (o perire).
Un'ultima considerazione per coloro che non rispettano i diritti degli altri:
Immaginate per un momento che al mondo tutti si comportassero come voi.
Vi piacerebbe vivere in un mondo così?
Io credo di no.
Quindi, trattate gli altri come vorreste essere trattati.

Gelosia: ecco come renderla costruttiva


Ci sono aspetti intricati nelle relazioni sentimentali. Il tentativo di suscitare gelosia nel partner per attirare attenzione, è sicuramente uno di questi. Anche se amiamo e rispettiamo il nostro compagno non ci è così difficile muovere comportamenti che volutamente lo feriscono. Flirtando con qualcun altro, ad esempio. Restando ambigui su certe situazioni, intenzioni, comportamenti. Giocando con messaggi e telefonate, riesumando ex. Perché sappiamo benissimo come accendere l’interruttore della gelosia. Con disinvoltura cerchiamo di manipolare l’altro pur di ottenere attenzioni, impegno, amore. Pianifichiamo tattiche che sul momento sembrano innocue e divertenti, e lo sono se si limitano a un gioco, ma che facilmente portano sofferenza nella coppia. La gelosia, non a caso, è uno dei motivi principali di insoddisfazione e anche di aggressioni e violenza. Secondo indagini statunitensi, provocare il sospetto per verificare la forza del legame coinvolge più le donne che gli uomini. Ma nessuno però è del tutto esente dalla gelosia, vissuta o suscitata. Per alcuni studiosi addirittura un male necessario, il danno collaterale dell’amore. “Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri”, scrive Roland Barthes in “Frammenti di un discorso amoroso” (Einaudi).
La gelosia è in effetti un’emozione molto complessa che smuove sentimenti profondi come paura, abbandono, perdita, dolore, rabbia. Un vissuto che emerge nelle relazioni significative quando ci sentiamo minacciati, violati da qualcuno o qualcosa in grado di portarci via quello che riteniamo nostro diritto. Un tentativo estremo di proteggere la relazione, anche. E spesso del tutto inutile. Essere gelosi non riduce la probabilità che il partner si allontani, venga attratto da altri, si distragga da noi. Anzi. Più si è gelosi, tanto più si soffoca l’altro, più l’altro vuole scappare, tanto più si sente legittimato all’inganno. Purtroppo la gelosia gode di una certa credibilità in ambito sentimentale. Riesce a spacciarsi come misura di “vero amore”. Sa rendersi attraente, soprattutto nelle fasi iniziali del legame. Con atteggiamenti ben visti come sommergere di attenzioni, telefonate, messaggi, regali. In realtà, solo tentativi di controllo.
Forse, in piccole dosi, parla di impegno, cura, coinvolgimento. La gelosia come modo per valutare se investire emotivamente sull’altro. Ma con facilità vira verso atteggiamenti pericolosi e distruttivi. Costringendo in una morsa di sospetti, autoinganno, assilli e delusioni. Rendendo irrazionali, facendo pensare sempre le stesse cose e allontanando dalla realtà. Un delirio con una serie di sintomi molto vicini a quelli della dipendenza affettiva. Studi di neuroimaging mostrano che gelosia, inferiorità e risentimento attivano nel cervello gli stessi circuiti neurali legati al dolore fisico. Però non servono prove per capire quanto dolore si può provare.
Le ricerche dicono che siamo gelosi ma con grandi differenze individuali legate a caratteristiche di personalità. La gelosia è anche associata a nevrosi, instabilità emotiva, rabbia, ansia e depressione. Più siamo instabili, non innamorati, più si è inclini a essere gelosi. Ed è negativamente correlata alla gradevolezza della persona. È diversa tra i sessi. La minaccia di infedeltà sessuale suscita più gelosia negli uomini. Per le donne invece a insospettire maggiormente è un atteggiamento amichevole, disponibile, solidale verso un’altra donna, giocando sul piano emotivo.
Però sottende sempre sensi di inadeguatezza, di disagio difficili da sopportare che facilmente diventano rabbia la quale si incanala in atteggiamenti di controllo e sospetto. Oppure in manovre volte a ingelosire l’altro per acquistare potere. In ogni caso non ci sentiamo amati e riconosciuti come vorremmo, non siamo al sicuro. È  intaccato il nostro senso di sé. Quando tentiamo di insospettire l’altro stiamo cercando conferme, vacilliamo nel bisogno di sentirci unici, insostituibili, indispensabili, speciali. Stiamo dicendo “dammi attenzione, guardami, pensa a me, voglio essere importante per te, ho paura”. Allora dobbiamo fare qualcosa per esserlo veramente. Invece di pensare “altrimenti me ne vado, guarda che qualcun altro mi vuole”.
La gelosia in effetti ci dice molto di noi e poco dei fatti dell’altro. Può aiutarci a capire chi siamo, a guardarsi dentro e di rimando, a migliorare le relazioni. Quando ci sentiamo dubbiosi, sospettosi, minacciati, bracchiamo e limitiamo l’altro. È dunque il momento di confrontarsi con i sospetti e di impegnarsi per essere più desiderabili, per essere amabili, evolvere, fare di più. Concentrarsi su cosa accade dentro la coppia e molto meno su ciò che avviene fuori. Non è facile ma solo ribaltandola la gelosia può diventare costruttiva.

La mania di lamentarsi di tutto



Probabilmente conoscerete alcune persone che si lamentano continuamente, quando piove e quando c’è il sole, per il troppo freddo o per il troppo caldo, quando sono soli o in compagnia. Si tratta di persone che non si accontentano mai e trovano le scuse più rocambolesche per lamentarsi sempre, ragioni che farebbero impallidire la fertile immaginazione di Kafka.
Nella mia famiglia, dove nessuno si lamenta ma tutti resistono stoicamente fino al colpo finale della sfortuna, lamentarsi è sinonimo di grave miopia verso i problemi del prossimo, di ingratitudine verso la vita e una inutile perdita di tempo.

Ma  dal momento che normalmente queste cose non le possiamo dire in faccia a tutte quelle persone che hanno l'abitudine di lamentarsi di tutto, non ci resta altro rimedio che fuggire a gambe levate appena incontriamo una di queste persone oppure ascoltare il rosario infinito delle sue lamentele annuendo con la testa e sperando che termini al più presto.
Infatti, sono mille le ragioni per le quali lamentarsi non serve a nulla, a dimostrazione che le lamentele sono tanto inutili quanto la danza indiana per attirare la pioggia. Ma allora, perché tante persone hanno la mania di lamentarsi di tutto?
La prima ragione è ovvia: sono profondamente insoddisfatte. Queste persone non si lamentano della pioggia o del caldo soffocante, della solitudine o della sgarbatezza dell’impiegato di turno, ma si lamentano della loro vita, della profonda sensazione di vuoto che provano e della mancanza di senso che le isola. Una persona che si lamenta è una persona insoddisfatta, qualcuno che non ha incontrato delle ragioni che diano un sapore alla sua vita.
La seconda ragione è l'abitudine. In effetti, spesso lamentarsi è un comportamento ereditato dai genitori. Queste persone danno per scontato che le lamentele debbano far parte delle loro conversazioni e non concepiscono di farne a meno. In alcuni casi l’abitudine di lamentarsi è così forte che se non lo fanno non saprebbero come rompere il ghiaccio o di cosa parlare.
Il terzo motivo è un profondo egocentrismo sostenuto da una mancanza di empatia. Queste persone danno per scontato che meritano più degli altri e, quando non lo ottengono si lamentano. Non riescono a mettersi al posto degli altri per capire le loro ragioni, perché il loro egocentrismo lo rende impossibile. Per queste persone, piove perché l'universo è contro di loro, e vanno in crisi perché Dio (che non ha niente altro di meglio da fare) ha deciso di contrastare i loro piani.
Perché le lamentele non sono una soluzione?
1. Le lamentele causano immobilità. Le persone possono lamentarsi quanto vogliono, ma la verità è che piangere sul latte versato non farà loro molto bene. Lamentarsi significa assumere il ruolo di vittima, significa scaricarsi di dosso la responsabilità del controllo attribuendola ad una entità esterna, comporta rimanere immobili sul ciglio della strada, lamentandosi di cosa è accaduto mentre le persone intorno a loro, che forse hanno vissuto la stessa situazione, si ricompongono e continuano il cammino.
2. Le lamentele sono un buco nero nel quale l’energia si disperde. Lamentarsi degli errori del passato, delle opportunità di cui non si è approfittato o dei problemi del presente rappresenta un dispendio di energia inutile. La lamentela implica concentrarsi negli aspetti negativi mentre ciò di cui abbiamo bisogno è l’esatto opposto: concentraci sugli aspetti positivi. La persona che si lamenta costantemente indossa un paio di occhiali con lenti grigie e percepisce il mondo attraverso di queste (alcuni hanno anche dimenticato che esistono i colori).
3. Le lamentele generano uno stato d'animo molto negativo. Tutti gli eventi includono aspetti positivi e negativi, concentrarsi sulle limitazioni, i danni, i disagi ed i fallimenti genera solo frustrazione, tristezza e rabbia. In realtà, le persone che si lamentano di tutto sono quasi sempre arrabbiate e sentono una profonda preoccupazione, perché sono continuamente in attesa della prossima disgrazia che gli offrirà l’universo.
4. Lamentarsi impedisce di trovare delle soluzioni. Dal momento che queste persone non sono in grado di apprezzare l’aspetto positivo delle cose, restano sprofondate nel loro dolore. Non riescono ad approfittare delle situazioni e, anche qualora la fortuna bussi alla loro porta, non riescono a vedere e cogliere l’opportunità offertagli. Pertanto, alla fine, la lamentela continua diventa una profezia che si auto-avvera.
5. Le lamentele influenzano le relazioni interpersonali. Noi tutti abbiamo i nostri problemi, ma di solito non andiamo in giro a sbatterli in faccia a tutti per vedere chi è il più sfortunato, in una gara tra vittime. Una volta può farci piacere ascoltare la lamentela di un amico e gli offriremo il nostro aiuto, la seconda volta anche. Ma a partire dalla terza si inizia ad essere stanchi. Pertanto, preferiamo evitare le persone che si lamentano di tutto come se fossero dei vampiri emozionali. Come risultato, queste persone restano sole come conseguenza di un meccanismo che esse stesse hanno creato. E quando gli altri li lasciano da soli avranno un motivo in più per lamentarsi.

La trappola dell’autocompiacimento (come smascherarsi e smettere di lamentarsi)

Di solito la persona che si lamenta di tutto non se ne rende conto (il peso della consapevolezza lo sostengono quelli che gli stanno vicino che neppure possono farglielo notare perché altrimenti gli darebbero solo un ulteriore motivo per lamentarsi: la profonda e insostenibile incomprensione degli altri).
Inizialmente, la lamentela può avere una causa ragionevole, come ad esempio: una perdita o un'esperienza molto negativa. In quel momento, le lamentele della persona hanno trovato il sostegno di coloro che la circondano. Questa ha mostrato di essere una vittima (sofferente e dolorante) e, probabilmente, gli vennero perdonati i suoi errori.
Così, quella persona ha scoperto che lamentarsi è un meccanismo efficace per manipolare gli altri. Ha anche scoperto che i sensi di colpa sfumano come per magia, così è entrata nel mondo dell’autocompiacimento. A questo punto la lamentela si è trasformata in una recitazione, un'abitudine per affrontare i conflitti e per attirare l'attenzione degli altri.


Così, poco a poco, quello che era iniziato con una lamentela per un motivo più che valido si è trasformato in una inutile perenne lamentela per qualsiasi cosa, il freddo, il caldo, una zanzara. Ma la cosa interessante è che le persone davvero sfortunate o che hanno effettivamente vissuto delle esperienze strazianti, non si lamentano mai, perché questo atteggiamento non ha nulla a che vedere con le calamità vissute, ma con il modo di affrontarle.
Così la prossima volta che pensate di lamentarvi, chiedetevi:
- Quale insicurezza o difficoltà nasconde questa lamentela?
- Ho dei validi motivi per lamentarmi?
- Quali aspetti positivi mi darà la lamentela?