lunedì 29 febbraio 2016

IL LUTTO E LA FAMIGLIA


La morte, all’interno della famiglia, produce due effetti: il primo è su chi muore, come fine ed interruzione della propria vita; il secondo è su chi rimane ed è il prezzo che si paga all’impatto profondo e violento che tali eventi, inevitabili ed obbligati, hanno sulla famiglia.
Cosa avviene in famiglia in seguito alla perdita di un componente?Il lutto in famiglia è la semplice somma dei lutti individuali o possiede delle qualità peculiari? Esiste il lutto di tutta della famiglia? Crediamo di si, poiché la morte in famiglia comporta molteplici perdite: della persona deceduta, dei ruoli, dell’unità familiare, delle speranze e della raffigurazione stessa del futuro
Nella letteratura legata alla famiglia ed al lutto, si esplicita il carattere simbolico del legame familiare e dello scambio fra le generazioni, la morte rappresenta il momento privilegiato e necessario per questo passaggio. Il principale compito della famiglia è quello di riattualizzare il rapporto tra vivi e morti attraverso il trasferimento del sistema dei valori. Il concetto di passaggio consente di dare senso alla morte e di dare all’evento luttuoso una funzione positiva. All’interno della famiglia si ricercano le risorse familiari al fine di contestualizzare il dolore familiare e non cadere nella patologia. Lo stress della morte è l’evento più potente che una famiglia si trovi ad affrontare, per questo è necessario attivare tutte le sue risorse per resistere alle forze destabilizzatici che si scatenano nell’immediato. Come sostiene Bowen in un sistema di comunicazione chiuso un individuo non è libero di comunicare pensieri, sentimenti e fantasie a causa della dipendenza emotiva dall’altro: si tratta di un riflesso automatico di difesa del sé dall’ansia dell’altra persona che limita la capacità di condivisione all’interno della relazione a due.
Alcune variabili orientano l’esito dell’elaborazione del lutto e il successo o meno delle strategie finalizzate ad affrontare l’evento: la qualità dell’organizzazione familiare; la flessibilità o rigidità del sistema familiare; il livello di coesione tra i membri della famiglia; il ruolo e la funzione della persona scomparsa; le modalità della morte
L’evento morte non è un passaggio da una fase all’altra della vita, ma la trasformazione di una condizione di vita. È un passaggio che attiva soprattutto aspetti simbolici: la morte obbliga i familiari a confrontarsi con l’inevitabilità del distacco e a procedere ad un lavoro di consegne e di distribuzione delle parti. E’ un passaggio di valori, tradizioni ed atteggiamenti e di mandati familiari. In famiglie con conflitti irrisolti questo passaggio sarà ancora più problematico.
La famiglia, per superare l’evento luttuoso, si trova ad affrontare delle tappe: accettazione della perdita; riorganizzazione della comunicazione e dei ruoli familiari; riorganizzazione delle relazioni con il mondo esterno; riaffermazione del sentimento di appartenenza al nuovo sistema familiare che emerge dal precedente; accettazione dell’ingresso in una nuova tappa del ciclo vitale.

Quali sono le principali risposte familiari al lutto?

1) Il silenzio, non se ne parla. Accade in famiglie con lutti irrisolti

2) Si colpevolizza per mantenere il controllo. Famiglie con capri espiatori

3) Famiglie in cui si evita l’intimità per paura di perdere il controllo

4) Famiglie in cui tutto deve continuare come prima, il posto vuoto deve essere riempito per non indebolire il sistema familiare

5) Famiglie per cui la perdita è caos e rischio(stanze lasciate intonse dalla morte)

6) Famiglie che condividono i sentimenti li tollerano e condividono gli stress. L’elaborazione del lutto procede attraverso l’attenzione e la consolazione reciproca.


Ci sono dei sintomi familiari che ci aiutano a capire quando l’evento luttuoso diventa un problema:

1) Diminuzione della comunicazione, cambiamento nelle relazioni, chi parla a chi

2) Riconnessione o distacco di alcuni membri della famiglia

3) Confusione nella gerarchia familiare, nei ruoli  e negli agiti dei membri della famiglia

4) Isolamento rispetto al contesto esterno

5) Ritiro dagli amici e dalle reti di supporto

6) Iperprotettività dei membri, chiusura

In alcune famiglie possiamo osservare delle risposte disfunzionali che non aiutano a superare il lutto, ma che congelano la famiglia impedendole di andare avanti lungo il suo percorso evolutivo e queste risposte sono: idealizzare la persona scomparsa; identificarsi con la persona scomparsa; una chiusura della famiglia che provoca invischiamento e che ostacola l’elaborazione individuale del lutto; promuovere il segreto familiare proteggendo l’onore familiare (frequente in casi di suicidio); promuovere ruoli inadeguati come l’attribuire ad un figlio un ruolo genitoriale dopo la morte del genitore; dipendenza da riti religiosi o tradizioni culturali, ricerca dell’aldilà; congelare il dolore.
Un buon aiuto per risolvere in modo efficace un evento luttuoso viene dato dalla qualità delle relazioni familiari, più le relazioni sono insoddisfacenti e più l’evento morte sarà visto come negativo e fonte di stress. In particolare, il rapporto genitori/figli è legato alla qualità della relazione. Spesso i genitori hanno delle alte aspettative riguardo alle responsabilità filiali, che se vengono disattese generano sensi di colpa e vissuti abbandonici nei genitori anziani. I figli, da parte loro, sperimentano un senso di fallimento per le aspettative disattese e di conseguenza, un’incapacità ad esprimere gratitudine verso i genitori, per i rapporti tesi e conflittuali che si generano. Nelle famiglie dove non ci sono “conti in sospeso tra le generazioni, si hanno sentimenti diversi: la generazione anziana che si avvicina alla morte prova nostalgia per il passato, dolore e paura. Questo perché la generazione anziana ricapitola la vita e riconosce ciò che ha ricevuto e ciò che ha dato. I figli esprimono riconoscenza con comportamento di aiuto e con prestazione di supporto. La cura di riconoscenza è finalizzata al mantenimento dei legami. Si realizza così, sia per la generazione dei genitori che per quella dei figli, la gratitudine per il dono della vita, in questo modo si riconoscono i legami familiari che, invece, vengono rifiutati o negati quando c’è il disconoscimento della gratitudine.


MEN, WOMEN AND CHILDREN



Men, women and children è un film del 2014, scritto e diretto da Jason Reitman, che tratta di una serie di vicende di adulti ed adolescenti che interagiscono tra loro e che subiscono in modo negativo le conseguenze della modernizzazione tecnologica.
Don e Helen sono una coppia sposata, che mettono in luce la tematica del tradimento, lei si iscrive ad un sito di incontri,e qui inizierà a tradire il marito, lui già da tempo dedito al mondo della pornografia, consumerà i suoi tradimenti tramite un servizio di prostitute on line. Viene fuori l’immagine di una coppia ormai annoiata e con una vita sessuale assente, che con l’ausilio delle nuove tecnologie riuscirà con molto semplicità a trovare partner con cui poter tradire.
Il loro figlio adolescente Chris, già da anni immerso nel mondo della pornografia, al limite della dipendenza da esso, si troverà ad avere difficoltà sessuali nelle sue prime esperienze con l’altro sesso. Anche qui un eccessivo uso della pornografia, e forse anche un po’ troppo precoce, reso possibile grazie sicuramente alla facilità con cui nell’era di internet, tutto e accessibile a tutti con estrema semplicità, e anche grazie alla noncuranza dei genitori, forse troppo presi dalle loro personali vicende.
La coppia madre-figlia costituita da Donna e la figlia Hannah, quest’ultima con il sogno di diventare un’attrice famosa. Donna apre un sito dove posta gli scatti della figlia, che lei costantemente fotografa e appoggia nel suo sogno di diventare famosa. Ma questo blog  si rivelerà in seguito causa di problemi  proprio per la stessa carriera della figlia. Il risvolto della medaglia dato dalla compulsione di postare tutto ciò che riguarda la propria vita privata, e la completa assenza di un controllo da parte della madre, ma al contrario è proprio lei a spingere la figlia verso questa direzione, forse per riuscire a realizzare il suo sogno, che era lo stesso della figlia, ma che con il tempo è andato in fumo.
Rapporto madre figlia agli antipodi è invece quello tra Brandy e Patricia, quest’ultima madre iperprotettiva, con il terrore ne confronti del mondo del web e di tutto ciò a lui connesso, che controlla la figlia in modo ossessivo. Di conseguenza Brandy, di nascosto dalla madre, ha un suo blog, dove si sente se stessa e libera di postare foto e stati personali.
L’adolescente Allison porta nella pellicola la tematica dell’anoressia e delle varie chat da lei consultate, dove si possono scambiare informazioni sulle tecniche da utilizzare per non mangiare e dove si supportano le persone con i disturbi alimentari.
Tim invece si ritrova ad affrontare l’abbandono da parte della madre, abbandona il football, e si rifugia in un gioco di ruolo virtuale. Successivamente incontrerà anche un terapeuta e gli verranno prescritti degli antidepressivi, a causa delle problematiche che manifesterà.
Nel film dunque le tematiche trattate sono tutte molto attuali e sicuramente portano alla luce problematiche che nell’era digitale diventano sempre più grandi e a volte forse anche pericolosi. Il filo conduttore di tutte le storie è rappresentato da un uso estremo dei mezzi che grazie a internet abbiamo sempre più a disposizione, e che oltre ad avere evidenti conseguenze negative per la propria persona, non fanno altro che allontanarci dalla vita vera.

Dott.ssa Spallino Stefania Laureata in Psicologia clinica e della salute e Tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus


Perché non possiamo rinunciare alla nostra musica? Reazioni corporee ai brani musicali.




La musica è una delle esperienze più ricercate, capace di suggerire stati emotivi ed evocarli, capace di legarsi strettamente alla memoria di un evento o di un periodo di vita, capace di raccontarci e talora sostituirsi a noi nel racconto. Come riesce un brano a suggestionarci così profondamente e ad imprimersi nelle fibre più recondite del nostro essere?
Le reazioni suscitate dalla musica, avevano in origine un preciso significato biologico: all’ascolto della voce materna i peli del cucciolo umano si rizzavano e lo riscaldavano. Questo ”orgasmo della pelle” attiva il sistema deputato all’analisi delle emozioni e delle gratificazioni. Le differenti componenti della musica, infatti, sono processate attraverso circuiti cerebrali diversi. Sono coinvolte non solo la corteccia uditiva primaria e secondaria, ma anche le aree del linguaggio, della memoria e del movimento. Per il nostro cervello e per noi dunque risulta un’ esperienza olistica, che apporta benefici al di là della semplice piacevolezza all’ascolto.
Nella scorsa decade un forte interesse verso gli effetti della musica ha pervaso la comunità scientifica estendendosi all’ambito psicologico, fisiologico, neuro-endocrino e immunologico.
Molti studi si sono occupati di documentare i mutamenti dei valori del cortisolo, un ormone prodotto dalle ghiandole surrenali, regolato nella sua produzione dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, rilasciato quando l’organismo è sottoposto a stress psico-fisici (per intenderci dall’ansia per l’esame universitario al dolore post operatorio). La maggior parte degli studiosi conviene su un esito: all’ascolto di un brano musicale la concentrazione di cortisolo nel plasma diminuisce (Lindblad et al 2007, Lai and li 2011).
Un’altra categoria ormonale e neurotrasmettitoriale che all’ascolto musicale diminuisce sono le catecolamine (Mockel 1995 e Okada 2009). Le catecolamine, adrenalina e noradrenalina, prodotte anche esse dal surrene e nelle terminazioni del sistema nervoso simpatico e centrale, sono coinvolte nelle risposte di attacco o fuga ( dalla reazione di allerta al sentore che sia entrato un ladro, al terrore incontenibile nel rappresentarsi un’appetitosa preda del leone che vi scopre i denti ).
Il rilascio del cortisolo e delle catecolamine, rappresenta l’ effetto di due bracci congiunti, quello ormonale e quello neurale, il cui scopo è di fronteggiare le situazioni in cui è percepito un pericolo reale o presunto. La secrezione ridotta dei suddetti ormoni comporta delle modificazioni dei parametri fisiologici: la pressione arteriosa si riduce, il ritmo respiratorio e cardiaco decresce, i movimenti intestinali si stabilizzano, il senso di stanchezza si attenua e i parametri di conduttanza cutanea rientrano nella norma. Tutti indici di un vissuto corporeo non minacciato da rischi per la propria integrità fisica e psichica.
La liberazione di ossitocina (Nilsson 2009) da parte della neuroipofisi, si allinea agli stessi esiti positivi . L’ ossitocina detto ”ormone dell’amore” aumentando all’ascolto della musica è in grado di condizionare la risposta para-simpatica di rilassamento, favorire la sensazione di sicurezza e modulare la risposta sessuale (l’eccitazione, l’orgasmo e la sazietà sessuale).
Anche il sistema oppioide (Stefano 2004) è coinvolto nel conferire senso di benessere. Tale sistema formato da peptidi oppioidi esercita un’ azione simile alla morfina interagendo con recettori specifici (μ,δ,k) presenti sulle membrane cellulari. Il primo neurotrasmettitore di questo sistema ad essere indagato fu la β-endorfina (McKinney 1997). Le endorfine sono quelle sostanze rilasciate durante prolungati sforzi fisici che assolvono funzioni analgesiche e di mediazione immunitaria. Sono capaci di alterare gli stati emotivi e provocare senso di piacevolezza tipico dell’euforia e dell’orgasmo. Esse sembrano inoltre coinvolte nel formicolio e i brividi associate all’esperienza dell’ascolto.

Pertanto, è possibile concludere che la musica è in grado di condizionare il crocevia di segnali tra cervello e corpo, influendo sull’asse ipotalamo-ipofisi-organi bersaglio ** e su disparati sistemi neurali. L’allentamento delle tensioni, l’attenuazione del dolore , la distensione muscolare, il senso di sicurezza, la riduzione dell’ansia, il miglioramento dell’umore non sono generati semplicemente dalla natura sublime di un brano. Non è la mera corrispondenza col nostro senso estetico a rendere piacevole una melodia, ma siamo dotati di strutture che ci predispongono a provare su più piani un coinvolgimento imprescindibile dalla nostra stessa natura.

giovedì 25 febbraio 2016

Gli effetti psicosomatici del lutto


UK. "Morire d'amore": l'idea romantica trova fondamento scientifico nei laboratori dell'Università di Birmingham.






"Uniti nella vita e nella morte. Moglie e marito si spengono a poche ore di distanza".
«Tutti conosciamo storie di qualche anziano che muore e l'altro coniuge, perfettamente sano, se ne va poco dopo. Con lo stress da lutto (...) può succedere che se l'anziano vive un trauma (come una caduta o una broncopolmonite) diventi più sensibile a nuove infezioni» (*). A spiegarlo, la ricercatrice in Medicina comportamentale Anna C. Phillips, coautrice dello studio condotto all'Università di Birmingham e pubblicato sulla rivistaImmunity and Ageing il 29 agosto 2014 (*).
Lo studio. Phillips e colleghi (*) hanno comparato l'effetto dello stress da lutto sul sistema immunitario di persone sane giovani e anziane.
Lo studio ha coinvolto: 41 giovani adulti di circa 32 anni, di cui 21 in lutto e 20 non in lutto; e 52 anziani di circa 72 anni, di cui 26 in lutto e 26 non in lutto.
I partecipanti hanno compilato questionari sulle proprie caratteristiche socio-demografiche e sui comportamenti di salute. Sono state prese in esame variabili psicosociali e risultati degli esami clinici.
In particolare sono stati osservati: le funzioni dei neutrofili (*); la concentrazione nel sangue del cortisolo (*) e del Deidroepiandrosterone solfato o DHEA Solfato (*); il rapporto fra cortisolo:DHEA Solfato (*).
I ricercatori si sono avvalsi delle tecniche della statistica inferenziale ANOVA (analisi della varianza) e hanno confrontato i dati interni ai gruppi e fra i gruppi.
Le persone in lutto di entrambi i gruppi di età hanno riportato maggiori sintomi di depressione e ansia rispetto ai gruppi di controllo.
Ciò nonostante i giovani partecipanti in lutto hanno mostrato una robusta funzione dei neutrofili e uguali livelli dell'ormone dello stress anche rispetto ai coetanei non in lutto.
Le persone più anziane in lutto invece hanno evidenziato una chiara riduzione nella produzione di neutrofili, un aumento del cortisolo, una conseguente alterazione nell'equilibrio cortisolo:DHEAS e una maggiore produzione di ROS (*) che causa uno stress ossidativo.
Questo si traduce in un effetto immunosopressivo con conseguenze in senso deteriore a carico del sistema immunitario e nervoso.
«... dopo una perdita - chiarisce la Phillips - possiamo soffrire di una ridotta funzione dei neutrofili (...) essenziali a combattere infezioni e malattie, così noi diventano vulnerabili quando questo accade» (*).
Gli effetti negativi dello stress da lutto sul sistema immunitario sono quindi più gravi nelle persone anziane, che corrono maggiori rischi di contrarre infezioni o andare incontro a patologie, quali ad esempio infezioni, osteoporosi, diabete e gravi malattie cardiovascolari.
I ricercatori giungono quindi alla conclusione che le persone più giovani non accusino gli stessi effetti dello stress sul sistema immunitario rispetto al quelle più anziane: «non hanno mostrato alcun effetto dannoso del lutto sulla funzione dei neutrofili e sulla concentrazione dell'ormone dello stress» (*).
Ammettono però che questo sia in parte dovuto al fatto che i giovani non sono soggetti a immuno-senescenza e che il declino nella produzione di DHEAS avvenga naturalmente con l'avanzare dell'età, in particolare con l'andropausa.
Tuttavia ritengono che lo studio possa rivelarsi utile per progettare percorsi anti-stress e fornire il miglior supporto possibile alle persone più vulnerabili.

Anna Phillips ha aggiunto che, per aiutare le persone a lutto di fronte al rischio di stress, si potrebbe ricorre a integratori ormonali o prodotti analoghi, tuttavia questa non è l'unica soluzione e non può sostituire il sostegno psicologico e la vicinanza di familiari e amici nel corso di un periodo di lutto.

USA LA TUA RABBIA PER COSTRUIRE QUELLO CHE VUOI


Emozione negata, poco tollerata e additata tra le più inaccettabili, ...ed è proprio per questo che può farci davvero male! Vediamo un esercizio per trasformarla invece in un alleato vincente
Come tutte le emozioni anche la rabbia ha una valenza adattiva, difensiva e se ben utilizzata può essere costruttiva.
La rabbia nasce quando qualcosa ci dà fastidio, non ci piace, rema in direzione opposta ai nostri bisogni ed obiettivi...e se non la ascoltiamo, se la neghiamo, o peggio, se la condanniamo, cresce, cresce, cresce...fino a farci stare male!
I segnali di una rabbia repressa sono molteplici: tensioni muscolari, dolori cronici, difese immunitarie basse con frequenza ad ammalarsi, cattive abitudini e dipendenze, atteggiamento passivo-aggressivo con conseguente auto-sabotaggio (per es. ci danno un incarico lavorativo che non vogliamo svolgere e pur non dicendo "no" lo svolgiamo malamente, danneggiando in primo luogo la nostra immagine!). Insomma, se la rabbia non ascoltata e non gestita può farci solo stare male, ascoltarla e incanalarla può darci grandi risultati!


Esercizio per ascoltare la propria rabbia
Vediamo un semplice esercizio per entrare in contatto con la rabbia e usarla in modo costruttivo:
1. mettiti comodo, seduto o sdraiato, in un'atmosfera rilassante e silenziosa.
2. chiudi gli occhi e visualizza la situazione o la persona che ti ha fatto arrabbiare, infastidire, irritare gravemente.
3. concentrati sulle immagini che ti scorrono davanti, le immagini relative all'episodio che ti ha fatto arrabbiare o che ti ha infastidito...guardale bene.
4. senti la tua rabbia e la tua irritazione crescere, non devi fermarla! Lasciati attraversare da quest'emozione...permetti che ti invada e non fare resistenza.
5. sposta ora la tua concentrazione su qualcosa di positivo, un desiderio, un progetto a cui tieni.
6. visualizza ora la tua rabbia come un fuoco che prende la forma che preferisci.
7. immagina che questo fuoco ti porti a realizzare il tuo desiderio, il tuo progetto
La rabbia ha una forza propulsiva significativa e noi abbiamo il potere di dirigere questa forza in una direzione anziché un'altra.
La cosa più sbagliata che possiamo fare è cercare di coprire questo fuoco, illudendoci che se non lo guardiamo esso possa scomparire.

Togliereste mai la benzina dal serbatoio della vostra auto, prima di usarla? Quando neghiamo e reprimiamo la nostra rabbia facciamo un po' la stessa cosa.

mercoledì 24 febbraio 2016

Vi spetta cambiare voi stessi, non gli altri


Quante volte avete tentato di cambiare gli altri? E quante volte gli altri hanno provato a cambiare voi? In entrambi i casi, per quanto siano grandi gli sforzi fatti, non possiamo riuscirci.
Cercare di cambiare una persona è come tentare di farle smettere di fumare: se non vuole abbandonare il tabacco, per quanto voi insistiate, non lo farà. L’unica cosa che potete fare è osservare voi stessi e chiedervi: farei mai qualcosa che non desidero davvero?
Non viviamo in un mondo virtuale in cui poter cambiare chi ci sta attorno, nel mondo reale abbiamo solo due alternative: accettare o allontanarci. In nessun momento si presenterà a noi l’opzione di cambiare gli altri.

Non provate a cambiare gli altri


Per capire meglio il concetto dell’impossibilità di cambiare gli altri, per quanto ci si accanisca nel tentativo di farlo, abbiamo deciso di condividere con voi un breve racconto dal messaggio molto esplicito:

“Un re che camminava per un paese roccioso, si arrabbiò e disse: ‘Ordino che tutte le mucche vengano uccise per farne dei tappeti per ricoprire tutto il paese’. I saggi del luogo si riunirono e gli risposero: ‘Faremo come sua altezza chiede: uccideremo dieci mila mucche e conceremo le loro pelli, e fra dieci anni avremo tappezzato tutto il paese così da non causare il dispiacere del nostro re’. Ma ecco che un buffone si fece avanti, e dopo aver chiesto il permesso del re, intervenne: ‘Perché non uccidere una sola mucca, e con il cuoio ricavato non farne delle scarpe?’. Fu così che il re imparò come fosse meglio cambiare se stesso che cercar di cambiare il paese intero.”
Cerchiamo di riflettere sul significato di questo breve racconto. Il re credeva che cambiare il suo paese fosse facile, e per questo non aveva preso in considerazione nessun alternativa. Ed è la stessa cosa che capita a noi: crediamo che cambiare gli altri sarà più semplice rispetto a cambiare, per esempio, noi stessi.
È necessario impararlo e cominciare a guardare la faccenda con occhi diversi, così da non commettere più i tanti errori in cui spesso incappiamo. Spesso cambiare gli altri ci sembra l’opzione più semplice, molto più che cambiare noi stessi. Perché così sì che possiamo cambiare. Cambiare se stessi è possibile, cambiare gli altri no!

Accettate, ma non cambiate

Perché è necessario cambiare per imparare ad accettare? Talvolta amiamo chi vive al nostro fianco a tal punto che, pur di non perderlo, desideriamo cambi. Riuscite però a capire cosa implica ciò? Cambiare qualcuno porta quella persona a non essere più la stessa. Si ruba la sua essenza. Se davvero non siete a vostro agio con lei/lui, se non accettate come è e come si comporta, allontanatevi!
È più facile a dirsi che a farsi. Sprecherete forze ed energie per la ricerca di un cambiamento che non avverrà mai, ma che vi richiederà grande fatica. Accettare una persona per quello che è richiede molti più sforzi di quanto crediamo, per questo cerchiamo di cambiare gli altri.
Quante volte vi siete arrabbiati con qualcuno perché non si comportava come volevate? Situazioni di questo tipo sono particolarmente facili da trovare all’interno delle relazioni di coppia. Eppure, ognuno è libero di agire come meglio crede, e se noi non siamo d’accordo con il modo di fare di qualcuno, siamo liberi di abbandonarlo.
Ciascuno di voi può cambiare, se lo vuole. Immaginatevi come sarebbe se un’altra persona vi incitasse a cambiare, dicendovi che così non vi sopporta più; voi provate a cambiare, ma è impossibile. Possiamo cambiare solo quando siamo noi stessi a proporcelo.
Accettate le persone per quello che sono e scartate l’opzione di cambiare gli altri; scatenereste molte più inutili conseguenze di quello che possiate credere. Non vale la pena correre il rischio. Cambiate voi stessi, accettate gli altri.
“Perché le cose cambino, tu devi cambiare. Perché le cose migliorino, tu devi diventare migliore!.”

-Jim Rohn-

ALCOLISMO, UNA MALATTIA DELLA FAMIGLIA


Gli effetti drammatici dell'alcolismo riguardano l'intero gruppo famigliare: tutti i famigliari sono esposti alle catastrofiche conseguenze dell'alcolismo, tra malesseri fisici, psicologici
I dati che riguardano il problema dell'alcolismo sono estremamente drammatici e lo sono ancora di più se si considera questa malattia un fenomeno famigliare e sociale: infatti non solo soffre colui che abusa di alcool, ma è l'intera famiglia a soffrire, a manifestare una patologia fisica e psicologica dovuto all'abuso di alcool di un suo membro.
L'alcolismo è un problema sommerso che uccide 60 volte più dell'eroina: la persona che abusa di alcool e la sua famiglia tende a negare a sé stessa il problema, lo nega e lo nasconde per tanto tempo: per questo spesso non è riconoscibile e valutabile.
Si stima che 5 milioni di italiani abusino di alcool e 1/5 di loro siano alcolisti.
Ogni anno muoiono 30.000 persone per causa direttamente connesse all'alcol ed altrettanti in modi indiretto: per esempio per guida in stato di ebbrezza, infortuni sul lavoro, suicidi e omicidi.Inoltre si stimano che circa 3.000 bambini all'anno nascono con sindrome feto alcolica.
Il 35% degli incidenti stradali siano connessi all'abuso di alcool; l'alcol è causa di oltre la metà degli omicidi, di 1/4 dei suicidi e di 1/5 degli infortuni sul lavoro.

Alcolismo e consumo responsabile
L'alcolista è colui che ha sviluppato una dipendenza dall'alcool, ossia usa la sostanza per affrontare la propria quotidianità, le proprie paure, per farsi coraggio nel relazionarsi con il modo famigliare e sociale; non può farne a meno, è convinto di poter controllarne l'assunzione, ma di fatto ne è vittima. Ci sono alcolisti che all'inizio della storia della dipendenza assumevano alcool solo il pomeriggio o la sera; arrivano con il passar del tempo ad assumere alcool fin dal primo mattino.
Il consumo responsabile di alcolici è un consumo moderato e consapevole, del tutto compatibile con la vita personale e sociale delle persone. Bere senza avere il controllo, bere nel momento sbagliato, nel luogo sbagliato e per motivazioni sbagliate significa invece bere in modo pericoloso perché possa svilupparsi una dipendenza.
I costi economici e sociali per le aziende ospedaliere e private sono drammatici: si stima infatti che
8-10% dei ricoveri in ospedali siano correlati al bere
20- 30% dei costi sanitari siano dovuti a patologie legate all'alcol
Le patologie organiche più gravi che possono colpire chi abusa di alcool sono: la cirrosi epatica, il tumore all'apparato digerente, malattie cardio-circolatorie, ipertensione e l'aggravamento dell'osteoporosi.
Le patologie psicologiche che possono colpire chi abusa di alcool sono; depressione, ansia, attacco di panico, disturbo alimentare, problemi nel sonno, difficoltà relazionali e sessuali, disagio lavorativo. Nei casi più gravi insorgono disturbi di ordine psichiatrico.
I quadri clinici di questi pazienti sono assai complessi, con diversi disturbi di origine organica che si sovrappongono a patologie di natura psicologica.
Disattenzione e mancanza di concentrazione, stanchezza e spossatezza comportano spesso assenze dal lavoro.
Si stima che circa 25 milioni di giornate lavorative vengano perse a causa di problemi alcool correlati.



Alcolismo una malattia della famiglia
Non solo chi abusa di alcool manifesta disagi e sviluppa disturbi organici e psicologici, ma l'intero gruppo famigliare può manifestare disagio e sviluppare un disturbo organico e psicologico solo per il fatto che un membro della famiglia abusa di alcool.
L'alcolismo è una malattia della famiglia: l'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l'alcolismo una malattia che colpisce l'intero gruppo famigliare.
Possono insorgere malattie fisiche di origine organica o psicologica nei bambini, resi più fragili e vulnerabili data la situazione famigliare.
In una famiglia in cui c'è un problema connesso all'uso di alcol spesso si modificano ruoli e funzioni: i figli si prendono cura emotivamente e fisicamente dei propri genitori, oppure si fanno partner del genitore. I bambini manifestano problemi scolastici e problemi comportamentali. Gli equilibri famigliari diventano complessi e fonte di sofferenza per tutti, recriminazione e sensi di colpa colpiscono tutti i membri della famiglia.
Può capitare che non ci si accorga che qualcuno stia male e che soffra di qualche disturbo.
Si comunica con difficoltà, con rabbia e rancore: emergono difficoltà relazionali e sessuali tra gli adulti, difficoltà di comunicazione e incomprensioni tra adulti e bambini. Non sempre si riesce a garantire la funzione di guida e di sostegno ai bambini da parte dei genitori presi dall'alcool o dalla cura e dalla preoccupazione di far smettere l'altro di bere.
I rimproveri e le colpe cadono nella maggior parte dei casi sul familiare accusato di bere che si sente così escluso e svalutato: la quotidianità diventa faticosa e pesante.
Spesso qualche membro della famiglia sviluppa un disturbo di tipo depressivo o ansia e panico.
Genitori distratti possono non accorgersi che i propri figli sono vittima di episodi di bullismo o sono loro stessi coinvolti come "carnefici" di atti di bullismo. Possono accadere episodi di violenza intra e extra famigliare di vario genere a causa della perdita di controllo e di protezione da parte di chi assume l'alcool o della risposta disperata e distratta di chi si trova a vivere in una famiglia in cui un membro abusa di alcool.
Possono insorgere problemi di lavoro: chi abusa di alcool può essere non più ritenuto idoneo e affidabile al lavoro e per questo venir licenziato; oppure un famigliare distratto e sempre preoccupato di quello che accade a casa, può non riuscire a mantenere sempre l'attenzione e la concentrazione necessaria e avere qualche problema sul posto di lavoro.
I problemi economici possono diventare importanti.
Si diradano i contatti con le famiglie di origine, con gli amici e i colleghi: la famiglia tende a isolarsi. Spesso ci si nasconde, ci si allontana per la paura del giudizio altrui. Ci si vergogna.
Negli adolescenti possono insorgere problemi alimentari.
Accade spesso che i genitori si separino; il conflitto tra gli adulti è molto acceso e coinvolge in modo drammatico i bambini.



In sintesi
Le patologie psicologiche che possono colpire i membri di una famiglia in cui un membro abusa di alcool (genitori, fratelli, coniugi, figli etc) sono: disturbo d'ansia, attacco di panico, depressione, disturbi alimentari, problemi di autostima, problemi relazionali e sessuali, disagio lavorativo, insonnia.
I bambini e gli adolescenti che vivono in una famiglia con un parente che abusa di alcool possono manifestare difficoltà scolastiche (diagnosi di ADHD, DSA) o problemi comportamentali (bullismo), disturbi nel sonno, disturbi nell'alimentazione, enuresi, encopresi, tic e balbuzie.
Spesso i bambini e gli adolescenti figli di genitori alcolisti si assumono comportamenti e responsabilità da adulti: non vivono la propria età e si prendono cura fisicamente- psicologicamente degli adulti da cui dovrebbero essere sostenuti e aiutati e quindi possono sviluppano patologie organiche e psicologiche anche gravi.

Che fare?
Informarsi:
Esistono sul territorio nazionale molti servizi che si occupano di alcolismo.
ASL: presso il Servizio Pubblico è possibile recarsi al NOA, Nucleo Operativo Alcologia.
Associazioni di auto mutuo aiuto:- Alcolisti Anonimi; Al Anon per famigliari e amici di alcolisti; Al Ateen, per figli di genitori alcolisti- ACAT Associazione Club Alcolisti in Trattamento.
uno Psicoterapeuta con il quale affrontare e superare le aree di maggior disagio psicologico (es ansia, depressione, disturbo alimentare).
È auspicabile un approccio integrato tra le diverse figure professionali, tra medici, psichiatri e psicologi al fine di trattare la complessità della malattia. Negli ultimi anni si è costatato nella clinica della dipendenza l'efficacia del sostegno e del supporto nella cura dell'alcolista della sua famiglia che frequenta le associazioni di auto mutuo aiuto, per gli alcolisti e per i suoi famigliari e nello specifico per i bambini e per gli adolescenti in Al Anon e Alateen.
L'ostacolo più importante rimane ancora quello della vergogna.

È dunque responsabilità anche degli psicologi e psicoterapeuti effettuare una precisa e puntuale anamnesi storica famigliare per individuare eventualmente questo tipo di malattia, informare al riguardo l'intero gruppo famigliare e trattare la sintomatologia individuale in relazione anche alla dinamica familiare tipica di questa dipendenza.

IL TRADIMENTO E LE RESPONSABILITÀ NELLA RELAZIONE DI COPPIA


Il tradimento rappresenta una delle esperienze più dolorose, nella vita a due, poiché mette in discussione dignità, rispetto, lealtà nella relazione con l’altro. Si può superarlo?
Il tradimento è una delle esperienze più dolorose che si possono vivere in una relazione, ma anche se stravolge la percezione di sé, del partner, e della coppia, statistiche piuttosto recenti, (2010), rivelano che la maggior parte dei tradimenti, anche se scoperti, non portano alla rottura della relazione a causa del valore intrinseco, costituito dalla istituzione familiare in sé e dal fatto che la colpa non è mai tutta solo da una parte.
Se ciò può risultare confortante, dall'altro canto, si renderebbe necessaria una profonda e reciproca chiarificazione di che cosa abbia innescato questo evento, attraverso un reciproco chiarimento, anche se doloroso.
Quando una coppia accusa dei malesseri, prima ancora che questi vengano agiti, vi è sempre una "corresponsabilità", e nessuno dei due , può sentirsi solo "vittima" o solo "aguzzino".

La confessione di un tradimento come messaggio di disagio
Il processo del tradimento comporta destabilizzazione nella coppia, e spesso percezione dell'altro come se fosse un estraneo, uno sconosciuto, un traditore, come una pugnalata inattesa e non sospetta.
Tradire mette a rischio le basi di una relazione soddisfacente: fiducia, sicurezza, stima, lealtà, progetti comuni, ed espone il legame al timore di nuove ricadute, con compromissione della stabilità della stessa. In altri contesti, questa esperienza, può divenire occasione per riflessioni individuali, e reciproche, divenendo presupposto di chiarimenti per proseguire il cammino su basi diverse. Rendere esplicito un tradimento o fare in modo che divenga noto all'altro, è molto simile ad inviare "un messaggio di disagio" al pari degli adolescenti, quando lasciano il loro diario ben in vista ai genitori! Ma questo significa che ogni coppia è esposta al rischio di tradimento?

Il rischio del tradimento
Non escludo possano esserci coppie predisposte, ma ritengo che, nella scelta del partner, ognuno di noi sia esposto a dei meccanismi psicologici, che il primis, risulta difficile capire. Tali aspetti, di solito, sono molto meno presenti, in successive unioni, se il soggetto è stato sufficientemente onesto con sé, da comprendere le motivazioni del precedente insuccesso, anziché seguire la strategia del chiodo schiaccia chiodo.
Nel precisare questo, non faccio riferimento né a flirt, né a storie di breve durata ed intensità, ma a situazione dove ciascuno dei due arriva a maturare e condividere un progetto di vita comune con qualcuno di diverso dal partner.



Disfunzionalità nella costituzione della coppia
Quando l'innamoramento finisce (e gli studi parlano di un tempo massimo entro i primi due anni) quando si progetta una vita insieme per sottrarsi ai conflitti familiari, piuttosto che continuare a restare perennemente attaccati al cordone ombelicale, con tanto di vacanze condivise, pranzi domenicali prefissati e quant'altro, qualche problema sorgerà inevitabilmente!
In più altra situazione pericolosa è quella generata dallo stereotipo mentale che il "giorno del matrimonio" si identifichi con il matrimonio, ritenendo di essere arrivati a quanto si desiderava, anziché considerare il giorno delle nozze, un giorno di festa.
Al risveglio dal "fiabesco torpore" la realtà risulta diversa: deludente, noiosa, insignificante, poiché distorte erano le aspettative originarie.
Se, le parti coinvolte sono portatrici di valori comuni, di sufficiente flessibilità mentale, di interessi da condividere, di voglia di "crescere insieme" nel rispetto delle caratteristiche e dei tempi di ognuno, credo si possa approdare a qualcosa di gratificante, e volutamente conquistato.
Nella scelta del partner, spesso , noi non vediamo, o meglio non vogliamo vedere la realtà, immersi nell'idealizzazione dell'altro.
L'idealizzazione, cede poi il passo all'identificazione, ovvero al "voler vedere" l'altro come simile a noi. In questa logica si collocano affermazioni-tipo: " lo cambierò". Altra illusione!
Fra i rischi più comuni di quando il legame si crea ci sono quelli di creare personali economie emotive malsane. Pensare di staccarsi dalla famiglia di origine; rientrare negli standard sociali, fruire di una miglior posizione economica; realizzare una famiglia propria; credere che il partner assolva a pregresse funzioni genitoriali offrendo protezione e rassicurazione costanti, sono fra le più pericolose.
Finita la fase dell'innamoramento difficoltà a chiedere aiuto, ad esprimere i propri sentimenti, insoddisfazioni negate, aspetti narcisistici che richiedono conferme di essere piacenti e di aver successo, può condurre alla ricerca di partner sempre diversi, per colmare la vulnerabilità e la fragilità individuale, che si interfaccia con un'amata che si nutre di fantasie e sogni che non troveranno corrispondenza nella realtà.
In questo stato d'immaturità affettiva, in assenza di un ascolto di sé, il tradimento, dapprima ammiccante ed adrenalinico, va ad intaccare il patto di fiducia e fedeltà originario, presupposto della stabilità e continuità della coppia.

Cosa succede in chi tradisce?
Chi tradisce cerca di fuggire dal legame costituito, anche perché gli risulta faticoso avere un rapporto intimo, esclusivo con una persona. Spesso non viene fatta menzione al partner dell' insoddisfazione relazionale, schermandosi dietro una facciata di stabilità e coerenza.
L'evento dirompente insito nel tradimento, mette a nudo le carenze comunicative all'interno della coppia, cui può seguire distacco ed allontanamento, sul piano cognitivo, emotivo, sensoriale.
Il disagio che aleggia all'interno della coppia, anche se silente, può sfociare o nella passiva accettazione dell'altro, pur di non restare soli; piuttosto che ricercare qualcun'altro che lenisca la delusione e il vuoto. In alcuni casi, l'effetto è così destabilizzante, che l'unione si spezza in modo irreversibile. Altri invece, attraverso un sofferto percorso, anche con eventuale aiuto psicologico, riescono a "ripartire", pur nella consapevolezza che quanto accaduto, lascia una profonda ferita.
Ne derivano le incapacità di prendersi responsabilità, operare scelte impegnative e vincolanti, sia lavorative che familiari.



Dalla crisi si può uscire
La crisi di coppia, a seguito di un tradimento, può divenire occasione per un confronto e per costituire la relazione su nuove e diverse basi, rispondenti a bisogni nuovi per entrambi.
Quando non è il timore della solitudine e della riorganizzazione della vita, ma sono i sentimenti di ognuno e l' interesse, si può pensare se questi presupposti possono divenire prodromici di un "nuovo inizio".
Lasciare conflitti irrisolti, negarli, nascondere segreti, che poi verranno alla luce, è quanto di peggio, in quanto apporta malessere, insoddisfazione, distanza emotiva e fisica, sottraendo vitalità e opportunità di aiuto. Prediligere costanti presenze familiari, piuttosto che amicali, spesso è un modo per limitare le occasioni di "rimanere soli".
Necessita flessibilità, fermezza, comprensione reciproca per "rivedere e ridiscutere" quanto considerato "scontato". Dare per scontato quanto mai chiaramente comunicato, è una trappola della mente, un terribile nemico che espone alla corrosione del rapporto, e alla sua possibile disgregazione.
Nuovi incontri sociali, cambiamenti esterni, sede di lavoro, di abitazione, lutti, nascite, malattie, sono fattori precipitanti, che portano a modificazioni nell'equilibrio della coppia e che non possono essere ignorate, in quanto parte della vita.

L'eventuale percorso psicologico della coppia
L'intervento psicologico, laddove accettato e richiesto da entrambi, mira a comprendere le modalità comunicative tra i partner, l'intimità emotiva e fisica esistente e pregressa, la capacità di gestire i conflitti, svelare aspettative desiderate ma mai dichiarate, le modalità di ognuno a far fronte agli eventi critici, a riportare alla mente ricordi comuni di vita, ricostruendo la loro storia affettiva, per apportare chiarezza, sciogliere nodi.

Obbiettivo non è necessariamente ed esclusivamente la riconciliazione, ma almeno la possibilità di un confronto onesto e schietto, che non lasci sospesi e consenta, un processo trasformativo e maturativo, in cui anche l'amarezza, la delusione, il dolore prendano "senso" e "significato".