La separazione, intesa come processo che concretizza la
definitiva rottura del legame di coppia e conferma lo sfaldamento della
struttura familiare, non è la causa diretta dei disturbi del comportamento dei
figli, bensì un fattore di rischio e di vulnerabilità. Non esiste, infatti,
nessun disturbo o quadro clinico che possiamo riferire ad una situazione di
separazione.
Come vedremo più avanti, ciò che invece influenza
direttamente il comportamento del bambino sono i contenuti e le modalità con
cui il conflitto prima, durante e dopo la separazione, è espresso all'interno
della coppia. Nei casi in cui la conflittualità è esasperata, la separazione è
il male minore. Infatti, il bambino, appena la coppia si separa, appare subito
sollevato dall'angoscia che deriva dall'essere quotidianamente esposto a litigi
e discussioni. Tuttavia, la sofferenza resta, anche se gli adulti, per
attenuare la loro ansia, preferiscono credere che "la battaglia" non
abbia mietuto vittime. Il bambino, in realtà, tende molto spesso a difendersi
dalla sofferenza negandola. La negazione della sofferenza, nel caso in cui
l'adulto non aiuti il bambino a riconoscerla ed elaborarla, può influire sul
corretto sviluppo psicofisico soprattutto in prossimità dei suoi momenti
chiave.
Purtroppo, più il conflitto è acceso più i genitori
tendono a non interessarsi del disagio del figlio e dei suoi bisogni,
nonostante i buoni propositi a voler mantenere la sfera genitoriale libera
dalla discordia.
In tali situazioni può succedere che il bambino sia coinvolto, suo malgrado,
nella dinamica conflittuale come testimone, confidente o come complice, o
chiamato a sostituire affettivamente il genitore non presente in casa.
E' opinione diffusa quella di ritenere che il bambino più
è piccolo meno risente della tensione emotiva familiare. "Tanto non
capisce" sentiamo troppo spesso ripetere, ma il "non capire" del
bambino non assume un valore auto-protettivo, tutt'altro. Egli riesce, infatti,
a cogliere quanto avviene nella relazione affettiva ed emotiva tra i genitori e
tra loro e se stesso, senza riuscire però ad attribuire un corretto significato
a quanto sta accadendo, come invece potrebbe fare un adulto o un bambino più
grande.
Almeno fino ai tre anni, il bambino, non possiede adeguate
capacità simboliche che rendono possibile l'elaborazione e la traduzione in
parole delle emozioni. Egli subisce ed assorbe le conseguenze delle fratture
affettive della coppia. Inconsciamente si rappresenta i genitori come un tutt'uno
e, se nell'immagine "mammapapà" risiede la forza organizzatrice della
sua personalità, possiamo immaginare allora il profondo conflitto interno che
il bambino sperimenta e che gli impedisce in molti casi un corretto adattamento
alla realtà. Pertanto, se egli non è aiutato, come spesso accade, ad elaborare
le emozioni ed i conflitti, questi tendono a manifestarsi nella condotta con:
pianto, disturbi del sonno, perdita del controllo sfinterico se già acquisito,
regressione delle capacità cognitive, rifiuto del cibo, tristezza ed ansia di
separazione. Nei bambini di 4-5 anni possono prevalere sentimenti di colpa
insieme al timore di perdere per sempre entrambi i genitori.
Bisogna però aggiungere che, nel valutare le conseguenze
della separazione sul comportamento del bambino, oltre a considerare
primariamente le modalità e l'entità delle dinamiche conflittuali dei coniugi,
è importante tener conto della sua età, del livello di sviluppo psicoaffettivo
raggiunto e di come egli reagisce agli eventi stressanti e traumatici. Infatti,
non tutti i bambini tendono a reagire con i disturbi prima elencati. Anche
l'intensità e la durata dei disturbi stessi è variabile, in quanto risentono
dell'influenza di questi diversi fattori.
La qualità del rapporto coniugale e del clima emotivo
familiare prima, durante e dopo la separazione, sembra dunque essere un
importante fattore predittivo circa la capacità di adattamento e di recupero
del bambino al cambiamento della struttura e della dinamica familiare. Questo
ci porta a fare alcune importanti riflessioni circa la necessità di aiutare la
coppia a superare i molteplici ostacoli che si frappongono alla piena
realizzazione del suo progetto di vita. Ostacoli che, ricordiamo, non sono solo
di natura personale ma anche sociale e culturale.
D'altronde, la complessità dei contesti relazionali e le
loro continue pressioni e sollecitazioni, pongono nuove sfide alla coppia che
fatica ad orientarsi in questa fase di passaggio tra vecchi e nuovi modelli
comportamentali. Il veloce cambiamento degli stili di convivenza non
corrisponde ad un altrettanto cambiamento delle rappresentazioni simboliche
circa il rapporto tra i generi, che risulta così più conflittuale di un tempo.
I nuovi genitori rifiutano il vecchio modello educativo (del quale però
porteranno tracce ancora per lungo tempo) e sono incerti sulla scelta del nuovo
perché, così come accade oggi in altri ambiti, anche qui non esistono delle
regole precise cui appellarsi.
Non serve, dunque, continuare ad attribuire ogni tipo di
responsabilità ai genitori. Non serve guardare indietro per vedere di chi è la
colpa. Serve invece guardare al futuro e tentare di analizzare e comprendere il
problema nella sua totalità, utilizzando approcci diversi: psicodinamico,
psicosociale, relazionale ed anche storico-culturale. Inoltre, è necessario
realizzare interventi psicologici mirati al sostegno della funzione genitoriale
attraverso, per esempio, sedute di counseling alla coppia, creazione di gruppi
di auto-aiuto o di piccoli gruppi di formazione.
Tali interventi rappresentano un'efficace azione di
prevenzione del disagio infantile e adolescenziale e potrebbero contribuire ad
interrompere quella sorta di "ereditarietà", certo non genetica bensì
affettiva-simbolica, che ritroviamo spesso nelle narrazioni di storie di vita
dei figli di divorziati. In queste storie, infatti, notiamo che le persone
tendono a loro volta a ripetere l'esperienza del divorzio-conflitto dei
genitori. Dal punto di vista psicoanalitico questo può essere spiegato dal
fatto che l'individuo sarebbe spinto da un bisogno inconscio a rivivere
un'esperienza traumatica nel tentativo di controllarla e cambiarla in positivo.
Il dato statistico relativo al rapporto genitori separati - figli separati non
permette però generalizzazioni. Tuttavia il fenomeno, che rappresenta un
aspetto della dimensione più ampia della trasmissione intergenerazionale, sta
ricevendo negli ultimi anni molta attenzione da parte di psicologi di diverso
orientamento, ricercatori e operatori sociali.
Cosa si trasmette da una generazione ad un'altra (e come
si trasmette) in termini di valori, cultura, e comportamenti rappresenta dunque
una questione cruciale sia per lo psicologo sia per il governo europero ed
italiano. E, proprio quest'ultimo (contrariamente alle sue nuove linee di
tendenza) dovrebbe essere maggiormente orientato alla prevenzione del disagio e
alla promozione del benessere psicofisico dell'individuo.
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