mercoledì 18 maggio 2016

Aerofobia. Comprendere e superare la paura di volare


La paura di volare, o aerofobia, è tra le fobie più diffuse. Si stima che circa la metà della popolazione soffra di questa specifica paura che porta a evitare i viaggi aerei a meno che le circostanze non lo impongano per gravi e urgenti motivi o, nei casi di aerofobia più seri a non volare per nessun motivo.
L’evitamento causato da questa paura può essere vissuto come una privazione significativa della libertà di esplorare il mondo. In effetti, coltivare l’idea di non poter volare significa dover rinunciare a conoscere luoghi e culture distanti, ma soprattutto conduce a privarsi a priori della possibilità di studiare e lavorare all’estero per arricchire il proprio bagaglio esperienziale.
Non tutte le persone che soffrono di aerofobia avvertono questa paura come una limitazione e la vivono serenamente.Viaggiano in auto, in treno o in nave e vengono a patti così con la loro fobia.
Altre, invece, vorrebbero volare, ma il solo pensiero di salire sull’aereo suscita in loro intensa angoscia e può innescare i primi sintomi ansiosi: tachicardia, sudorazione, tremori, vertigini, ecc. E questo basta loro a rinunciare ad affrontare la situazione reale del volo.
Come ogni fobia, la paura dell’aereo resiste alla logica. È inutile, o quasi, spiegare a un aerofobo che l’aereo è probabilmente il mezzo di trasporto più sicuro al mondo, con tassi di incidenti di 0,64 su milioni di voli l’anno. Gli aerofobi comprendono perfettamente che le proprie ansia e paura sono sovradimensionate, ma questo non li aiuta a superarle. Anzi, paradossalmente, aumentano in loro il senso di inadeguatezza, che consolida l’evitamento; l’evitamento, poi, alimenterà la paura, in un circolo vizioso che è tutto nella mente di chi ha paura, è immaginario, ma percepito come tremendamente reale.
L’invincibilità apparente di ogni fobia è data dalla disparità tra il rischio reale e la minaccia avvertita dal soggetto.Il suo sistema emotivo funziona come certi allarmi per auto mal tarati, che scattano alla minima vibrazione e continuano a suonare finché il proprietario non li disattiva. Perciò una strategia efficace per superare la paura dell’aereo e altre fobie consiste nell’esplorazione psicologica ed esperienziale del sistema emotivo della persona con l’obiettivo di aiutarla ad attribuire significati più funzionali alle proprie risposte psicologiche e psico-fisiologiche. In altre parole, chi soffre di aerofobia ha la possibilità di “ri-tarare” il proprio sistema d’allarme interno allo scopo di renderlo più efficace e funzionale, anziché subirne i continui falsi allarmi.
Le motivazioni che innescano la paura di volare sono diverse da persona a persona.Paura di sentirsi male e di non poter essere soccorsi, paura di spazi chiusi (claustrofobia) o affollati (agorafobia), paura dell’altezza (acrofobia) sono tra le fobie correlate all’aerofobia e spesso si originano da un nucleo comune legato a un eccessivo bisogno di controllo del soggetto in altre aree della sua esistenza.
Alla base dell’iper-controllo, spesso inconscio, ci sono conflitti e lutti non elaborati che nulla hanno a che vedere con l’aereo. Per esempio la perdita precoce di un genitore, un incidente passato in cui si è stati direttamente o indirettamente coinvolti che ha causato un trauma relazionale, l’eccessiva protezione ed apprensione di un genitore durante l’infanzia o, viceversa,la sensazione di fragilità dei legami collegata a circostanze pregresse e/o attuali di precarietà nei rapporti affettivi.
Spesso la paura di volare si configura come un alibi inconscio per evitare di allontanarsi dagli affetti, perché percepiti come instabili, pericolanti.
Superare l'aerofobia permette di riorganizzare il proprio sistema cognitivo ed emotivo in modo generale e acquisire più benessere e più equilibrio in ambiti della propria vita ben più significativi che il viaggiare per mete lontane. Per questo è importante per chi avverte la paura di volare come una limitazione considerare la possibilità di superare questa fobia con l’aiuto di una psicoterapia mirata.
Un primo passo può essere la lettura di libri sul tema che svelano in modo semplice e chiaro i meccanismi e le dinamiche nascoste nell’aerofobia.



FONTE: http://enricomariasecci.blog.tiscali.it/2016/04/18/aerofobia-comprendere-e-superare-la-paura-di-volare/

lunedì 16 maggio 2016

Quando l'altro ti lascia all'improvviso. Il "ghosting" e le sue ragioni silenziose


Improvvisamente il partner scompare. Non risponde più al telefono, non legge i messaggi, cestina le email e rifiuta ogni contatto delegando al silenzio totale la notizia del suo definitivo distacco. Ci sono storie in cui torni a casa da un viaggio di lavoro e la trovi svuotata senza un motivo, senza un biglietto.
Lui, o lei, si è portato/a via tutto il possibile ed è svanito/a chissà dove. Al suo posto si materializza il dolore, il pensiero urla al suo posto, il cuore accelera al punto da sembrare poi fermo come una massa esteriore, un peso, una malattia.
Di colpo, la vita è crollata sotto il peso di una domanda che non avrà seguito: perché qualcuno che diceva di amarti e con cui pensavi di trascorrere il resto della tua vita si dilegua senza lasciare traccia?
I sentimenti di vergogna, umiliazione, disorientamento e di prostrazione di chi subisce un abbandono così drastico sono immani, soprattutto nei casi in cui il/la partner svanisce senza aver dato in precedenza sentore di una scissura così violenta e magari, sino al giorno prima, è apparso “normale” e impegnato nella coppia.
È uno shock paragonabile ad un lutto improvviso quello che colpisce uomini e donne esiliati senza appello e senza spiegazione dalla dimensione relazionale che chiamavano amore, un tradimento terribile.
Forse si tratta di uno dei traumi psicologici più violenti in età adulta, perché implica, nel vissuto della “vittima”, un disconoscimento assoluto dei suoi sentimenti e della sua identità, e la cancellazione abrasiva delle sue convinzioni e dei suoi valori. È difficile reagire a un messaggio di annullamento totale di questa portata.
Il “Ghosting”. Purtroppo la chiusura improvvisa e radicale dei rapporti sentimentali è tanto frequente da aver ricevuto il “battesimo” da psicologi e sociologi anglofoni: lo chiamano “ghosting”, da “ghost”, fantasma.
In effetti,l’altro diventa un ectoplasma e si comporta come se non fosse mai esistito senza preoccuparsi che in questo modo degrada anche il/la partner abbandonata/o allo stato disperante della mancanza di senso,lo/la relega ad una specie morte vivente.
Chi è lasciato si trova costretto a rintracciare faticosamente un significato nel puzzle ormai sparso in migliaia di pezzi della storia finita.
Deve riconsiderare i più piccoli gesti, le microscopiche anomalie della quotidianità interrotta calandosi nella memoria, improvvisamente paludosa e inospitale della sua vita. Una ricerca immensamente dolorosa da fare a da accettare.
Le reazioni di chi è lasciato. Allora,la reazione più comune è la ricerca di un/una colpevole, qualcuno che abbia sottratto il partner con la fascinazione e con l’inganno. Rabbia e sgomento, rivalsa e vendetta animano in molti casi disperati tentativi di riconquista a base di investigazioni private motivate dall’illusione della riconquista una volta smascherato/a il/la crudele rivale.
A volte,il percorso che riporta alla realtà le vittime di ghosting può essere impervio e struggente, e ricondurre sempre al punto iniziale, alla necessità di lasciare andare chi è fuggito, prendendosi le proprie responsabilità e, allo stesso tempo, accettando di assegnagli/le le proprie.
Le motivazioni taciute di chi lascia. Generalmente, dietro il ghosting non ci sono predatori emotivi né megere dispotiche, i cosiddetti “rovina famiglie”, ma solo la volontà deliberata di chi è sparito di sparire. Non certo in funzione di una nuova storia d’amore. Ovvero, l’eventualità che il partner abbia cominciato un nuovo rapporto è conseguenza e non causa del ghosting.

Quello che le vittime non conoscono è il disagio prolungato, la reiterata incompatibilità valoriale,il sentimento controllato di asfissia in una relazione avvertita silenziosamente e per anni come insoddisfacente e rimasta in piedi solo per amore. Sì, solo per amore.



L’amore non basta. Sino poi a scoprire che l’amore non basta e non sapere come fare a spiegarlo al partner, agli amici, ai parenti. La sola via d’uscita è, appunto, diventare fantasmi per sopravvivere al fallimento che nessun altro riconosce ed evitare il ginepraio di chiarimenti, accordi, esplicitazioni che verrebbero confutati dalla diversa realtà di coppia in cui il compagno o la compagna che si lascia crede di vivere.

Oltre le “vittime”, oltre i “carnefici”. Chi interrompe in modo così traumatico un amore non lo fa a cuor leggero, anche se lo stereotipo corrente condanna senza appello gli uomini e le donne che osano sparire e li marchia sommariamente a fuoco con la lettera scarlatta del Narcisismo patologico.
La decisione di andarsene è spesso, invece, espressione di una profonda dipendenza affettiva da parte di chi si eclissa e, in un gioco di specchi, la soluzione estrema a una relazione diventata arida e procedurale, dove l’infelicità è stata troppo a lungo negata e subita per compiacere l’esigenza dell’altro di un rapporto perfetto e inossidabile per quanto bloccato a casa, a letto, in famiglia e in società.
L’amore è una condizione necessaria perché due persone si uniscano, ma non basta. Alla coppia serve molto di più, ma in molti casi, troppi in realtà, si è sprovvisti di questo “di più” o, semplicemente non si immagina neppure di cercarlo, abbagliati dall'utopia che l’amore sia sufficiente …
L’amore non basta” è l’epigrafe non scritta del ghosting, l’insegna indicibile di coppie che si amano troppo, ma che non sono riuscite a comunicare, a sviluppare valori comuni e capitalizzarli in prospettive future realistiche e positive.
Coppie che hanno creato pseudo-realtà pseudo-condivise e si sono scontrate con la presa di coscienza di uno solo dei due, con l’esame di realtà di uno solo dei due:quello che è andato via, e che ha portato con sé il proprio dolore, per farsene carico senza farne parola e non sapendo più come sopportare l’infelicità di entrambi.



FONTE: http://enricomariasecci.blog.tiscali.it/2016/04/04/quando-laltro-ti-lascia-allimprovviso-il-ghosting-e-le-sue-ragioni-silenziose/

giovedì 12 maggio 2016

STALKING: NON È AMORE, NON È ROMANTICO, NON È OK


I necrologi delle donne che sono morte e le testimonianze delle donne che sono sopravvissute, dicono una cosa sola NON E’ AMORE.
Stalking deriva dal verbo inglese to stalk “fare la posta” .
Denota infatti un comportamento ossessivo che comprende:
  • l’aspettare, l’inseguire, il raccogliere informazioni sulla “vittima” e sui suoi movimenti.
  • l’interferenza ripetuta nella vita privata di una persona, con comunicazioni intrusive (telefonate, lettere, sms, e-mail e perfino graffiti o murales)
  • pedinamenti
  • comportamenti di confronto diretto, quali visite sotto casa o sul posto di lavoro, minacce e molestie
Secondo lo studio del Reparto Analisi Criminologiche dei Carabinieri gli stalker potrebbero inquadrarsi in cinque tipologie
  1. il risentito, nutre rancore per traumi affettivi ricevuti da altri e a suo avviso ingiustamente (tipicamente un ex-partner di una relazione sentimentale);
  2. il bisognoso d’affetto, vuole convertire un semplice rapporto di conoscenza in una relazione sentimentale, insiste e fa pressione nella convinzione che prima o poi l’oggetto delle sue attenzioni si convincerà;
  3. il corteggiatore incompetente, che opera stalking in genere di breve durata, risulta opprimente e invadente principalmente per “ignoranza” delle modalità relazionali, dunque arreca un fastidio praticamente preterintenzionale;
  4. il respinto, rifiutato dalla vittima, vuole contemporaneamente vendicarsi dell’affronto subito e insieme riallacciare una relazione con la vittima stessa;
  5. il predatore, il cui obiettivo è di natura essenzialmente sessuale, trae eccitazione dal cacciare e possedere le sue vittime dopo avergli ingenerato paura, è una tipologia spesso ricorrente anche nei voyeur e pedofili.
Come comportarsi in caso di Stalking:
  • E’ importante affrontare il problema senza minimizzarlo e adottare precauzioni.
  • Se la richiesta è di riprendere una relazione indesiderata, è fondamentale dire di no in maniera chiara e precisa.
    La restituzione di un regalo non gradito, una telefonata di rabbia o una risposta negativa ad una lettera sono segnali di attenzione che rinforzano lo stalking.
  • Per difendersi dal rischio di aggressioni uscire senza seguire abitudini routinarie e prevedibili, in orari maggiormente affollati e in luoghi non isolati, adottare un cane addestrato alla difesa, molto utile sia come concreta difesa sia per aumentare la sensazione di sicurezza.
  • Se le molestie sono telefoniche, non cambiare numero. La frustrazione aumenterebbe la motivazione allo stalking. Meglio procurarsi una seconda linea, lasciando che la vecchia linea diventi quella su cui il molestatore può continuare a telefonare, magari mentre azzerando la suoneria e rispondendo gradualmente sempre meno.
  • Per produrre prove della molestia alla polizia, non lasciarsi prendere dalla rabbia o dalla paura ma raccogliere più dati possibili sui TUTTI i fastidi subiti, annotandoli su un apposita agenda; es. ora della telefonata, durata, contenuto, MAI cancellare messaggi.
  • È utile mantenere sempre a portata di mano un cellulare in più per chiamare in caso di emergenza.
  • Se si pensa di essere in pericolo o seguiti, non andare mai di corsa a casa o da un amico, ma recarsi dalle forze dell’ordine.
A partire dalle ricerche di Jacquelyn Campbell, una delle maggiori esperte nazionali di omicidi in ambito domestico,é stato elaborato un modello di prevenzione.
Campbell scoprì che la metà delle vittime aveva cercato aiuto rivolgendosi alla polizia almeno una volta, e che nei casi di omicidio l’indicatore più frequente era la presenza di violenze fisiche precedenti.
Il rischio di omicidio cresceva quando la vittima cercava di abbandonare il partner o quando si verificava un cambiamento importante nella vita della coppia (una gravidanza o un nuovo lavoro).
Nei casi di separazione, il pericolo rimaneva alto nei primi 3 mesi, si abbassava leggermente nei successivi 9, e calava significativamente dopo un anno.


Fonte: http://ilblogdellamente.com/stalking/

giovedì 5 maggio 2016

Cyberbullismo: per il 90% dei presidi è più grave di quello “tradizionale”


Il 90% dei presidi delle scuole italiane ritiene che il cyberbullismo sia più grave del bullismo tradizionale. Risulterebbe, infatti, più doloroso e avrebbe conseguenze più rapide e durature sulla reputazione personale delle vittime. Eppure, l'81% dei dirigenti scolastici riferisce che i genitori tendono a minimizzare il problema, giudicando il bullismo digitale poco più che uno "scherzo tra ragazzi”. È il risultato della ricerca: “Verso un uso consapevole dei media digitali”, realizzata dal Censis in collaborazione con la Polizia postale. L'indagine ha coinvolto 1.727 dirigenti scolastici delle scuole medie e superiori di tutta Italia.
Il 77% dei presidi ritiene che il cyberbullismo sia un vero e proprio reato. Inoltre, per l'89% degli intervistati questo fenomeno risulta più difficile da individuare rispetto al bullismo tradizionale, perché gli adulti sono esclusi dalla vita online degli adolescenti. Il 52% ha, quindi, riferito di aver dovuto gestire personalmente episodi di cyberbullismo, il 10% casi di sexting – ossia l'invio telematico di foto o video sessualmente espliciti - e il 3% situazioni di adescamento online. Nel 51% dei casi è stato necessario rivolgersi alle forze dell'ordine. Ma data la tendenza dei familiari dei bulli a sottovalutare la gravità del fenomeno, per il 49% dei presidi la maggiore difficoltà da affrontare consiste proprio nel far comprendere ai genitori la serietà dell'accaduto.
Per il 77% dei dirigenti scolastici internet rappresenta l'ambiente in cui le vessazioni fra adolescenti sono più frequenti. Sul web episodi di bullismo si verificherebbero più spesso che nei luoghi di aggregazione giovanile (47%), nel tragitto tra casa e scuola (35%) o all'interno della stessa scuola (24%). Ma qual è l'identikit del cyberbullo? Per il 70% dei presidi non esistono differenze tra maschi e femmine, per il 19% i responsabili degli episodi di bullismo sono in prevalenza le ragazze, mentre per l'11% soprattutto i ragazzi.
L'indagine evidenzia che il 39% delle scuole ha già attuato alcune delle azioni specifiche contro il cyberbullismo, previste dalle linee di orientamento del Ministero dell'Istruzione. Il 63%, invece, intende farlo nel corso di quest'anno scolastico. Ma nel 36% degli istituti la partecipazione non va oltre la metà dei genitori e nel 59% dei casi si ferma solo a pochi genitori. Solo il 10% delle scuole ha un vero e proprio programma di monitoraggio, basato su questionari rivolti a studenti e genitori.


FONTE:
http://www.salute24.ilsole24ore.com/articles/18570-cyberbullismo-per-il-90-dei-presidi-e-piu-grave-di-quello-tradizionale


mercoledì 4 maggio 2016

Uomini dipendenti affettivi. Tra vergogna e solitudine

In tema di dipendenze affettive e di narcisismo patologico è diffusa la rappresentazione di donne vittime e di uomini carnefici, come se la sindrome relazionale del “mal d’amore” e le sue conseguenze cliniche ed esistenziali appartenessero esclusivamente alle dinamiche maschio-femmina.
Quest’idea preconcetta è alimentata dalle cronache di violenza, di stalking e di femminicidio, e trova fertili riscontri nella letteratura specifica. Infatti, la gran parte dei libri e dei documenti sulla dipendenza affettiva si concentra sullo scenario psicologico dei rapporti uomo-donna, con lui nella parte del manipolatore perverso e lei nel ruolo della preda soggiogata.
Ciò accade perché questa configurazione è statisticamente più frequente e più facilmente osservabile e non perché sia la sola possibile. Infatti, la dipendenza affettiva e il narcisismo perverso sono fenomeni trasversali al genere e all’orientamento sessuale. Riguardano tutti: uomini e donne, omosessuali ed eterosessuali senza soluzione di continuità e si manifestano nei diversi casi con schemi relativamente invarianti.
La preminenza numerica della relazione uomo-carnefice/donna vittima è radicata nei modelli culturali dominanti e negli stereotipi di genere, perciò rischia di produrre una pericolosa semplificazione nella clinica e nel trattamento dei disturbi affettivi e di trascurare così lo studio e la psicoterapia delle dipendenze relazionali in cui, per esempio, è il maschio a “subire” trascuratezze e abusi di una narcisista manipolatrice, oppure nelle situazioni in cui il problema travalica l’orientamento sessuale e si instaura tra partner dello stesso sesso.
L’uomo “vittima”, tra vergogna e solitudine. A differenza di quanto accade alle donne, gli uomini eterosessuali “vittime” devono affrontare oltre al dolore della relazione patologica, il senso di vergogna e di inadeguatezza derivanti dalla disinformazione sul tema e dal pregiudizio culturale che li stigmatizza come maschi-zerbino, maschi fragili e atipici. Il risultato è che un uomo eterosessuale in forte difficoltà emotiva tende a evitare, a rifiutare l’aiuto o a negare il problema a lungo, col rischio di cronicizzarlo.


Depressione, isolamento, alcolismo e abuso di sostanze, disturbi nella sfera sessuale e ricadute sul funzionamento psico-sociale sono a volte il tributo pagato da questi uomini alla causa dell’incomprensione che li circonda: il conformismo sociale.
Tutti sembrano dir loro “Liberati di questa strega!”, come se fosse facile. Il carico di questa iper-semplificazione della dipendenza affettiva al maschile può diventare soverchiante e condurre la vittima a peggiorare la propria situazione nel tentativo solitario di risolverla.
La soluzione terribile. Per gli uomini, come per le donne vittime di narcisisti, la soluzione terribile più frequente è accondiscendere alle richieste della manipolatrice: più soldi, più obbedienza, più “sincerità”, un figlio “riparatore”, una casa nuova, rompere con la famiglia d’origine e i parenti prossimi, nessuna amicizia femminile e così via.
Ogni cedimento produce un trauma: la manipolatrice alzerà la posta in gioco e la vittima precipiterà in un abisso di responsabilità crescenti, da cui potrebbe risultare veramente complesso sollevarsi, sia da un punto di vista psicologico che economico.
Tutto questo è facilitato dalla solitudine in cui i maschi vivono la propria condizione di soggiogamento emotivo. A differenze delle femmine, non hanno avuto il vantaggio di un’educazione sentimentale che li autorizzi a condividere le proprie emozioni e a manifestare uno stato di crisi psicologico; di rado possono contare su amici comprensivi ed empatici e, meno ancora, sono disponibili all’idea che una psicoterapia possa sostenerli in modo valido e in tempi brevi.
Leggere libri. Potrebbero allora leggere del problema che li affligge, ma la quasi totalità dei libri sul narcisismo perverso e sulla dipendenza affettiva sono coniugati al femminile e pur trattando di un disturbo, come ho detto, trasversale al genere e all’orientamento sessuale, danno l’idea di essere inadatti al pubblico maschile.
Dipendenza affettiva, narcisismo perverso e omosessualità. La frequenza con cui nelle relazioni omosessuali si manifestano dinamiche dipendenti e scenari narcisistici è considerevole, ma relativamente inesplorata. Ancora una volta, penso, a causa del forte accento “etero-centrico” posto dai ricercatori sul tema, ma soprattutto dal condizionamento culturale che destina dalla nascita le persone gay a orientarsi nel mondo senza modelli o riferimenti, che le depriva di fatto di quell’educazione emotiva, seppure abbozzata, e del senso di legittimità assegnato di diritto ai bambini etrerosessuali.
Su questo piano la ricerca psicologica è ai primordi, ma lo studio trasversale e multi-livello della dipendenza affettiva può illuminarci, e ce n’è bisogno, sulla necessità di abbattere argini culturali e stereotipi sociali soffocanti.
Donne, uomini, eterosessuali, omosessuali sono uguali nell’amare, ugualmente fragili, ugualmente vulnerabil
i e, per inverso, potrebbero essere persone forti, sane e consapevoli, se a livello sociale, culturale e scientifico si costruissero le condizioni di questa parità profonda e fondamentale, oggi trascurata quando non direttamente negata

FONTE: http://enricomariasecci.blog.tiscali.it/2016/05/02/uomini-dipendenti-affettivi-tra-vergogna-e-solitudine/