“Sto bene in compagnia di me stesso,
gli altri mi complicano la vita.”
(P.
Baroncini)
A
volte si può pensare che magari entrare in relazione con altre persone ed
esprimere le proprie emozioni sia un qualcosa di semplice ma spesso
relazionarsi con gli altri risulta essere una vera e propria sfida, a volte
anche difficoltosa.
Infatti,
alcune persone si trovano a chiedere un aiuto di tipo psicologico a causa della
loro difficoltà a non sapere gestire bene
le proprie relazioni sociali.
Il
saper interagire in modo efficace con le altre persone non è un’abilità innata
ma in parte dipende anche dal proprio temperamento e da come sono state affrontate
le proprie esperienze di vita, soprattutto quelle collegate ai vissuti
dell’infanzia e dell’adolescenza.
Il
concetto di “abilità sociali” fa riferimento alla capacità di una persona di
sapere adattare il proprio comportamento in base alla situazione sociale in cui
si trova, in modo da rendere più probabile che i propri obiettivi, all’interno
di quella specifica interazione, vengano raggiunti. Chi non possiede buone
abilità sociali ha invece la sensazione di non essere efficace all’interno di
una situazione relazionale, si sente fuori luogo; teme che gli altri si accorgano
delle sue difficoltà e si preoccupa del loro giudizio.
Vi
sono persone che nella maggior parte dei contesti (familiare, sociale,
sentimentale, lavorativo) non si sentono a proprio agio o trovano delle difficoltà;
invece altre riescono a trovarsi a proprio agio in alcune situazioni
relazionali ma non in altre, ad esempio non hanno difficoltà quando
interagiscono con i propri familiari o con gli amici ma si trovano a disagio quando
si trovano a relazionarsi, ad esempio, con persone sconosciute o con cui hanno
poca confidenza.
Ma
come mai non tutti possiedono buone abilità sociali?
Come
riportato sopra, le abilità sociali non sono capacità innate ma si apprendono
nel corso della propria vita; imparare a stare con gli altri, infatti, è il
prodotto di un processo educativo che parte dall’infanzia. È proprio quando si
è bambini che sarebbe più opportuno apprendere la capacità di comunicare in
modo efficace con gli altri ed adattare il proprio comportamento in funzione
del contesto in cui ci si trova. Tuttavia vi sono diverse variabili che, quando
si è bambini, possono impedire, o quanto meno rendere difficile, l’apprendimento
di abilità sociali efficaci.
Tra
queste variabili rientra, ad esempio, l’assenza
di modelli positivi. Infatti, siccome impariamo anche osservando e imitando gli
altri, quando si è piccoli e i propri genitori o le persone con le quali si
trascorre più tempo trovano delle difficoltà nei contesti relazionali, il
bambino non avrà modo di osservare e quindi di imparare modalità efficaci di
interazione sociale.
Parlando
di relazioni e del relazionarsi con gli altri, non si può non fare almeno un
accenno alle emozioni.
Le
emozioni e le relazioni fanno parte integrante e strutturano la vita di ogni
individuo e il non riuscire a esprimerle, non provarle, non viverle significa esserci
in maniera incompleta, e questo fa male.
Sentimenti
ed emozioni ci accompagnano in tutto il percorso della nostra vita e ognuno le
affronta in modo diverso. Sono proprio questi sentimenti e queste emozioni che
fanno di noi individui unici e irripetibili. Ma sappiamo bene che quando non
abbiamo la possibilità di esprimere le nostre emozioni, esse alla fine ci
sopraffanno. Più carichiamo la nostra mente di sentimenti che non manifestiamo,
più la carichiamo di pensieri spesso ossessivi, di paure, di sentimenti, di
bassa autostima… e questo può ostacolarci anche nello svolgimento delle più
semplici attività quotidiane.
Ci
sono volte in cui queste emozioni represse vengono fuori all’improvviso, quando
meno ce lo aspettiamo, in momenti non consoni alla situazione reale in cui ci
troviamo, e tendiamo a scaricarle su persone che non c’entrano . Oppure, altre
volte queste stesse emozioni si ritorcono contro noi stessi, infatti si parla
spesso degli effetti negativi del trattenere le emozioni in riferimento alla
salute. Ed è vero: il non esprimerle in modo adeguato può dar vita a disturbi
psichici e fisici, come ad esempio ansia, panico, cefalea, gastrite, ecc.
Questi sintomi, in realtà, ci vogliono semplicemente avvisare e dire che
qualcosa dentro di noi deve venire fuori, e non trovando altre vie per uscire,
si manifestano in questo modo, ovvero, comportando sofferenza psichica e fisica.
Ma
si parla poco dei danni che questo atteggiamento fa alla vita di relazione.
Molti non riescono quasi a esprimere davanti agli altri le proprie emozioni nel
momento in cui le provano, e i motivi sono molti, come ad esempio la paura del
giudizio, una forma di pudore, una sorta di abitudine a "tenere dentro", per
timore di essere inopportuno, di non essere compreso… e ciò riguarda sia le
emozioni positive che quelle negative.
E
sono proprio un netto distacco dalle relazioni sociali e una limitata capacità
di espressione delle emozioni nei momenti di interazione solo alcuni degli
aspetti più evidenti in quel che viene definito “ disturbo schizoide di
personalità “ .
Il
disturbo schizoide di personalità (così come definito secondo i criteri
diagnostici DSM-IV–TR e, similmente, nell'ICD-10) è un disturbo di personalità
del Gruppo A, il cui tratto principale è la mancanza del desiderio di relazioni
strette con altre persone, e il distacco emotivo del soggetto rispetto alle persone
e alla realtà circostante. Questo
disturbo è caratterizzato, appunto, dal
distacco dalle relazioni sociali e da una ristretta gamma di espressione delle
emozioni. Infatti, la difficoltà maggiore che queste persone avvertono è l’
incapacità di rapportarsi agli altri, che deriva, probabilmente, da inadeguate
cure parentali ricevute nell’infanzia.
La
personalità schizoide manifesta chiusura in sé stessa o senso di lontananza,
freddezza. La persona tende all’isolamento, infatti la ricerca della solitudine
fa parte integrante della loro vita tanto che cercano per lo più lavori e
professioni che richiedono pochi contatti sociali e collaborazioni con gli
altri: possono anche raggiungere traguardi importanti e di prestigio perché
dimostrano di essere in grado di portare avanti un compito o un lavoro senza l’aiuto
o il supporto altrui; oppure ha relazioni comunicative formali o superficiali,
non appare interessata a un legame profondo con altre persone, evita il
coinvolgimento in relazioni intime con altri individui, con l'eccezione eventuale
di parenti di primo grado, che però potrebbero non percepire l'intensità del
disturbo schizoide, in quanto il soggetto potrebbe avere con loro relazioni perlopiù
normali.
Il
soggetto necessita ma, allo stesso tempo, teme i legami affettivi, per cui
sceglie il ritiro come forma di difesa e preferisce la sicurezza e la
solitudine alla minaccia delle relazioni. Ma tutto questo, nonostante
l'apparente freddezza, viene vissuto dalla persona con un disturbo di
personalità schizoide, come un enorme disagio. Infatti, bisogna comunque tener
presente che la persona con un disturbo di personalità schizoide è infelice
perché il disagio lo sente.
Ogni
sfera della vita relazionale, affettiva e lavorativa della persona risulta
essere interessata da questo disturbo ma il loro modo di concepire i legami
interpersonali evidenzia una netta contraddizione: mentre nella realtà evitano
e cercano di sottrarsi alle occasioni di interazione, nella fantasia si
costruiscono un mondo privato di relazioni, esperienze e sentimenti profondi con cui compensano l’ assenza e la
solitudine che cercano nella vita vera.
Dott.ssa Antonia Malpede
Laureata
in Psicologia e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus
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