(Roma) Pia Covre è la
segretaria del Comitato per i Diritti Civili delle prostitute, che ha fondato
nel 1982 insieme a Carla Corso e ad altre colleghe.
Come è cambiato il mondo
della prostituzione rispetto agli anni che hanno accompagnato la nascita del Comitato per i Diritti Civili delle
prostitute?
Direi che possiamo
paragonare il cambiamento avvenuto nel mondo della prostituzione alla crisi che
si è creata nel mondo del lavoro; la prostituzione, in un certo senso, è il
paradigma del resto della società. Oggi il mercato del sesso è molto
deteriorato; le donne che vi lavorano vivono, molto spesso, una condizione
precaria ed incontrano maggiori difficoltà a lavorare ed a guadagnare. La
prostituzione, in questo momento, è lo specchio di una società attraversata dai
cambiamenti e dai problemi introdotti dalla globalizzazione.
Le prostitute italiane e
quelle straniere incontrano le stesse difficoltà?
Come per ogni altra fetta di
mercato, l’alta disponibilità di prostitute straniere, in condizioni di
partenza svantaggiate, quindi molto più assoggettabili, finisce per danneggiare
anche chi svolge la professione autonomamente, anche se in modo diverso,
naturalmente.
Qual è il suo punto di vista
sul rapporto tra femministe e prostitute? Cos’è cambiato rispetto agli anni
Ottanta?
C’è stata, e c’è ancora,
un’espressione del femminismo fortemente critica nei confronti della
prostituzione, una voce abolizionista, che definisce i rapporti di prostituzione
come rapporti di violenza. Si tratta di una posizione ormai minoritaria, ma che
produce ancora effetti, perché, in molti casi, è sostenuta da femministe che
hanno raggiunto posizioni di potere. Le giovani femministe di oggi, al
contrario, hanno recepito la lotta per la conquista dei diritti delle
prostitute e questo è comprensibile, perché loro stesse vivono sulla loro pelle
la mancanza di diritti e la difficoltà ad autodeterminarsi. Naturalmente il
rapporto tra femminismo e prostituzione non si esaurisce in queste battute
veloci; bisogna tener conto delle varie facce del femminismo, ma, concludendo,
personalmente, mi auguro che si giunga presto a vedere che, non è condannando
le prostitute, che si migliorerà la condizione delle donne nel mondo.
Perché la libertà di scelta
della prostituta risulta problematica? Cosa rendere difficile pensare che sia possibile
scegliere liberamente di vendere una prestazione sessuale?
Il fatto che le prostitute
rivendichino i loro diritti fa paura all’intera società, perché è una richiesta
eversiva. Proprio perché la società è impostata su una certa ottica
patriarcale, in cui gli uomini esercitano un potere sulle donne, la prostituta
ribalta gli schemi: non è a disposizione dell’uomo, ma esercita quasi una
superiorità. Sotto il profilo dello scambio sessuale, la prostituta avanza la
richiesta di essere pagata, per qualcosa che l’uomo ha ritenuto essere sempre a
sua disposizione. Il fatto che le prostitute rivendichino la propria
professionalità è eversivo e fa paura. Non so perché alcune femministe non
colgano questo aspetto.
La difficoltà di concepire
la prostituzione come una scelta possibile, può dipendere dal fatto che siamo
abituati a concepire la sessualità come la chiave della nostra intimità,
investendola di un immenso valore?
Non ho mai pensato che la
sessualità fosse sacra.
Di fatto, però, è il discorso che sottende
l’educazione di molti di noi. Il solo racconto che sta intorno alla verginità
basta a rivelare il grosso investimento che la società ha fatto nei confronti
del sesso. Ritengo la sessualità una
fonte di piacere, che è stata negata e nascosta alle donne e il fatto che ci
siano donne che mettono la sessualità a disposizione del loro piacere fisico e
economico, fa paura. Tuttavia, se posso capire che gli uomini abbiano paura di
perdere il loro primato, non capisco le donne. Della prostituzione si dice che
non sia emancipatoria, ma non è vero, lo è sempre stata: pur essendo donne
povere, abbiamo scoperto di avere un patrimonio, da cui possiamo trarre un guadagno. Attraverso la prostituzione, abbiamo trovato uno
strumento con cui infrangere questo monolite maschile e non capisco perché non
si riconosca che, la nostra, è una lotta al patriarcato.
Quando si parla di
prostituzione si finisce per psicanalizzare la prostituta e non si parla quasi
mai del cliente. Che idea si è fatta degli uomini e del desiderio maschile?
Diciamo che il panorama è
variegato, c’è un po’ di tutto. Fondamentalmente, penso che l’uomo (e
probabilmente anche le donne, chissà!) non sia monogamo. Amano avere più donne,
ma non con tutte desiderano instaurare una relazione o assumere un impegno, e
si rivolgono alle prostitute, o magari hanno delle amanti e non frequentano le
prostitute, ma di sicuro la monogamia non esiste.
Un elemento interessante,
quando si affronta l’argomento “prostituzione”, è la grande curiosità delle
donne nei vostri confronti, che si spinge fino alla richiesta di “fare
l’esperienza”. Cosa ne pensa?
Credo che, fin da bambine,
ci sia una gran curiosità. Senti sempre parlare di questa donna “per male” e
avverti il bisogno di confrontarti con questa specie di mito: ti chiedi chi è
l’altra, cosa significhi essere una prostituta. Mi ricordo che quando ero
bambina sentivo le comari del paese parlare di una ragazza che riceveva uomini
in un appartamento e mi chiedevo cosa si provasse ad essere una
prostituta.
E cosa si prova?
E cosa si prova?
Da parte mia una grande
gratificazione potrei dire. La prima esperienza mi ha fatto scoprire un mondo.
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