Scrivo
questo articolo immaginando di stare parlando alle tante donne che si trovano a
vivere il problema dell’infertilità come un dramma esistenziale. Lo farò dando
del TU all’interlocutore, poiché di fronte a me vedo persone e non macchine. Di
seguito una serie di riflessioni nate dopo aver ascoltato molte storie sul
tema. Certo che sia solo una goccia nell’oceano, spero di poter contribuire in
qualche modo alla qualità del cammino di tante persone.
Quando si parla degli aspetti
psicologici ed emotivi legati all’infertilità,
due sono i temi ricorrenti che si sentono in giro e cioè che lo stress,
l’ansia e le emozioni influiscono
negativamente sulla produzione degli ormoni (LH, FSH, estradiolo, progesterone)
deputati al concepimento e che l’atteggiamento migliore sarebbe
distrarsi o impegnare il tempo in attività di svago.
Da qui arrivano i consigli
calati dall’alto frutto di generalizzazioni che non fanno altro che peggiorare
il tuo stato emotivo, lo stato emotivo della donna. Non è un caso infatti che
queste affermazioni calmino solo chi le pronuncia e non te che stai vivendo la
difficoltà di concepire, come un vero e proprio dramma esistenziale.
“Non ci devi pensare”
“Devi
stare tranquilla”
“Prenditi
una vacanza”
“Devi
essere forte”
“Sei
troppo ansiosa”
“Cerca
di calmarti”
“Rilassati”
“Andrà
bene”
“Sei
troppo stressata”
Tralasciando tutti questi
luoghi comuni una cosa è certa, tutto quello che provi e pensi non è risultato
di una scelta.
Lo
so, non ti impegni minimamente per essere ansiosa, ma l’ansia arriva e basta.Lo
so, non ricerchi in modo ossessivo i pensieri legati alla gravidanza,
essi
arrivano da soli.Lo
so, non ti concentri per essere agitata, l’agitazione va da sé, anche se non
vuoi averla. E
allora spontanee sorgono alcune domande.
Come
mai sei ansiosa e stressata?
In
che modo puoi affrontare ansia, stress ed emozioni in un percorso difecondazione assistita?
In
che modo l’ansia, lo stress e le emozioni potrebbero contribuire alle difficoltà di
concepimento?
Il ruolo dello psicoterapeuta: Aiutare ad Ascoltarsi, Amarsi, Esprimersi.
Dalla
mia esperienza come psicoterapeuta della Gestalt e come tutor in percorsi difecondazione assistita, sempre più
spesso mi accorgo di quanto non siamo più abituati ad ascoltare il nostro organismo, bensì ci
riempiamo di ragionamenti pur di non entrare in contatto con noi stessi, con i nostri bisogni e
desideri. I suoni del corpo, le sensazioni, le emozioni ci danno messaggi
importanti su come stiamo e dove stiamo andando, ma il più delle volte questi
messaggi restano inascoltati e in qualche modo continuano a spingere fino al
punto che, l’organismo non avendo altro modo per comunicare, produce il
sintomo, sia esso fisico che psicologico.
Capita spesso, ad esempio, che alla domanda “cosa provi?” non
sappiamo dare una risposta.
Non sentiamo la paura, non
sentiamo la tristezza, non sentiamo la rabbia né il disgusto.
Come
se avessimo imparato che queste sono emozioni negative dalle quali stare alla larga e che è
meglio non provare. L’organismo dunque prova paura e noi con la testa facciamo
finta di niente. Ci irrigidiamo e facciamo finta di niente. Siamo tristi e
facciamo i felici. Siamo arrabbiati e ingoiamo, facendo i superiori perché la
rabbia non serve. Siamo felici, ma tanto dura un attimo. In realtà non esistono emozioni
positive ed emozioni negative, le emozioni sono tutte ugualmente
importanti e degne di essere ascoltate poiché sono il motore dei nostri
comportamenti. In più tutte con una specifica funzione biologica. La tristezza
ad esempio ci segnala una mancanza. Ascoltarla è il primo passo per capire cosa
ci manca e quindi cosa possiamo fare per avere ciò che ci manca. Se invece non
possiamo averlo, accettare realisticamente e costruire altro. Quando invece non
ascoltiamo le emozioni è come se mettessimo in atto comportamenti slegati da
noi, automatismi che a lungo andare alimentano disagio e malessere.
Tutto questo non risparmia te,
donna che ti ritrovi ad affrontare il problema dell’infertilità.
Attraverso la respirazione consapevole,
esperienze guidate, la relazione empatica, lo psicoterapeuta dunque può aiutarti ad
ascoltarti. Questo dunque il primo passo per accompagnarti verso te stessa.
Il passo successivo, dopo
esserti data la possibilità di ascoltarti e sentire, è amarti.
Cosa
vuol dire? Accertarti per quello che sei, per quello che provi, cercando di non
giudicarti, di non giudicare i tuoi bisogni, desideri e pensieri. Detto così
sembra facile, in realtà è cosa molto complessa.
Tu
mi dirai “ti sembra facile?” No,
non è facile, è molto impegnativo ma non impossibile.
Fin
da piccoli cresciamo in un ambiente con determinate regole culturali, sociali,
morali e chi più ne ha più ne metta. In questo ambiente, in primis con le
figure genitoriali, ci insegnano e impariamo a muoverci nel mondo, ma
soprattutto costruiamo il nostro personale modo di stare al mondo e con gli
altri, attenti a preservare l’amore di chi si prende cura di noi. A quel tempo
essere amati dalle figure di riferimento vuol dire sopravvivere, dunque tutto
ciò che impariamo a fare e il modo in cui lo facciamo sono importanti per la nostra
sopravvivenza.
Ci insegnano e impariamo ad
esempio che solo i deboli piangono.
Che
se piango, mamma e papà si arrabbiano e non mi vogliono più bene.
Che
se sono triste, mamma è triste.
Che
se mi arrabbio, mamma e papà si arrabbiano più di me.
Che
quando sono arrabbiato, è meglio piangere, invece di gridare.
Che
quando sono triste, è meglio ridere altrimenti resto sola.
Che
è inutile esprimere ciò che proviamo, tanto nessuno ci darà ascolto.
Ci
insegnano ed impariamo che dobbiamo essere forti a tutti i costi, altrimenti
gli altri ci calpestano.
Impariamo
che non dobbiamo essere fragili, perché fragile è come dire sconfitta.
Volendo andare un poco avanti
nel ragionamento, la faccenda si complica ulteriormente, poiché può succedere
che emergano anche pensieri, emozioni, sentimenti, bisogni e desideri
contrastanti, e che questo contrasto venga vissuto come un conflitto
inaccettabile dalla persona, o meglio, da ciò che la persona ha imparato fino a
quel momento. Succede che ci si allea con una sola parte e si lascia che questa
domini sulle altre, le quali tornano sullo sfondo e allo stesso tempo
continuano a chiedere di essere ascoltate.
Interessante e curativo invece
è lasciare che tutte le parti dialoghino tra loro fino a quando la persona non trova
una sintesi, qualcosa che le piace e che la aiuti ad affrontare il problema in
modo funzionale.
Nello
specifico, capita spesso che il desiderio di maternità sia legato alla paura dei cambiamenti
di vita, del corpo, della relazione con il partner, ma che ci si senta in colpa
per il fatto di provare paura. Oppure può capitare che ci si senta sole ed
arrabbiate e di non volerlo ammettere a se stesse, perché questo vorrebbe dire
accettare di avere un problema o di pesare sugli altri.
Può capitare che ci si senta
forti e non accettare che a volte si può essere fragili e di quanto possa
essere importante accogliere la propria fragilità, per potersi appoggiare e
riposarsi con qualcuno.
Può
capitare che ci senta sole e che non ci si permetta di chiedere aiuto, poiché
farlo sarebbe come a dire di aver perso.
Può
capitare che ci si senta sbagliate e difettose, quasi innaturali da non poter
condividere con nessuno il proprio dolore.
Succede
che ci si senta stanche di lottare, e che in qualche modo si continui a
mostrare i denti, poiché deporre le armi sarebbe come non rialzarsi più.
Succede
che si senta l’invidia e che questa non venga riconosciuta perché moralmente
inaccettabile.
Succede
che ci si chiuda in un mondo fatto solo di analisi, visite, terapie e che un“problema di infertilità” diventi una vera e propria guerra
contro se stesse e contro tutti coloro che dal nostro canto ostacolano la
realizzazione del sogno di maternità. È così che un problema di infertilità può
dilagare ed inglobare tutta l’esistenza della persona. Non più una difficoltà
da affrontare, ma un’intera vita che diventa infertile, quasi non degna di
essere vissuta
Da questo punto di vista lo
psicoterapeuta ti aiuta ad accogliere tutto ciò che arriva e soprattutto
lasciare che questo emerga, per non far si che si blocchi nel corpo.
Aiutarti ad amarti dunque è il secondo importante passo, per
accettare i tuoi bisogni e desideri.
A cosa serve esprimersi?
Dopo essersi ascoltati ed amati
e cioè dopo aver riconosciuto ed accolto le proprie emozioni è importante
esprimere e lasciare che queste esistano come motore dal quale far partire i
nostri comportamenti.
Dunque,
cosa faccio con quello che provo?
Mettiamo
il caso che provo paura. La paura ci segnala il bisogno di protezione e
rassicurazione.
Se
mi amo ed accetto di provare paura, attraverso il lavoro psicoterapeutico
integro i conflitti interiori arrivando a scegliere cosa voglio fare con questa
emozione.
A
questo punto ad esempio se prima mi giudicavo perché avevo imparato che provare
paura è da codardi, ora invece scelgo di esprimere la mia paura e il desiderio
di essere rassicurata da qualcuno. In questo modo, ti ascolti, ti ami, ti
esprimi e chiudi il tuo bisogno organismico.
E
spesso la sensazione che si prova è di leggerezza, di calma, di pienezza.
E
se questo non succede, che fine fa la tua paura, la tua rabbia, la tua
tristezza, il tuo disgusto e così via? Che fine fanno tutte le emozioni non
ascoltate, accolte ed espresse?
La fantasia che mi faccio è che
restino nel corpo e che col tempo si cronicizzino portando ad un irrigidimento
dell’organismo.
Può
questo irrigidimento ostacolare la riuscita dei percorsi di fecondazione
assistita?
A
questa domanda non voglio dare risposta, non ci sono a disposizione dati
scientifici sostenibili a riguardo, al tempo stesso però, ascoltandoti,
amandoti ed esprimendoti migliorerai la tua qualità di vita, molto
probabilmente l’ansia e lo stress si ridurranno in maniera consistente, il tuo
corpo si rilasserà e il modo in cui affronterai il percorso sarà comunque in
salita, ma avrai più strumenti per camminarci sopra. Questo si.
Non
è un caso che dopo aver attraversato un po’ di dolore, le persone si sentano
più rilassate. Attraversare le emozioni però non è facile poiché spesso hanno a
che fare con il guardare in faccia la realtà e questa a volte non ci dice cose
che ci piacciono.
Quello
che ci viene più facile fare dunque è evitare il dolore, la paura, la rabbia,
la tristezza e a volte anche la felicità.Evitare
per fingere di non soffrire.
Evitare
funziona fino a quando non arriva il sintomo che sia ansia o stress.
Evitare
fino a non voler sentire la tua fragilità e continuare a dire “vincerò questa
guerra”, non accorgendoti che stai combattendo contro te stessa e contro parti
di te che più che condannate forse chiedono di essere ascoltate, amate ed
espresse.E allora forse più che combattere, lo psicoterapeuta può aiutarti a deporre le
armi, sostenendoti nel tuo impegnativo percorso esistenziale.
Deporre
le armi non vuol dire perdere. Deporre le armi è attraversare te stessa, con
gratitudine e accettazione.
Deporre
le armi fare alleanza con te stessa.
In
questo caso, deporre le armi aiuta a stare meglio. E’ vincere.
Fonte: http://www.glipsicologi.info/wordpress/fecondazione_assistita.html
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