Generalmente quando si parla di dipendenze, ancora oggi, si pensa quasi ed esclusivamente alle tossicodipendenze o alla dipendenza da alcol.
Eppure, negli ultimi anni, lo spettro delle dipendenze
si è ampliato a dismisura tanto da affiancare alle dipendenze più conosciute il
termine new addictions per indicare le nuove dipendenze comportamentali che costituiscono
un insieme eterogeneo di disturbi, che condividono con le dipendenze comuni la
progressiva perdita di controllo sul comportamento di dipendenza e la
compromissione della vita dell’individuo a vari livelli.
Nelle dipendenze senza droghe risulta
evidente un’eziologia di tipo multifattoriale che comprende aspetti culturali,
sociali, economici, fattori relativi alla dimensione neurobiologica,
psicologica e psicopatologica.
Il termine addiction appare
di grande valenza psicologica e psicopatologica molto più dei termini dipendenza e tossicodipendenza.
Il termine addiction deriva dal latino,
nello specifico dal diritto romano, addictus che
sta ad indicare un soggetto schiavo per debito in quanto incapace di saldarlo.
Questo termine evoca immediatamente la condizione del prigioniero: la
reiterazione dei comportamenti additivi, infatti, implica un debito
progressivamente crescente che determina la perdita della libertà e della
capacità di autodeterminarsi.
L’etimologia
ci aiuta a comprendere che la vera trama profonda delle varie forme di
dipendenza riguarda il rapporto tra libertà e responsabilità, fra onnipotenza e
limite; rivendicando il senso onnipotente della propria libertà il soggetto
dipendente perde progressivamente la possibilità di orientare i propri
comportamenti.
È proprio all’interno delle “nuove dipendenze” che si inserisce la dipendenza affettiva o relazionale; sembra impossibile
ai più che una relazione, un partner possa diventare come una droga; sembra impossibile parlare di love addiction, quasi fosse un ossimoro, eppure oggi
ciò accade e più frequentemente di quanto non si pensi.
Il tema della dipendenza affettiva o
relazionale è quanto mai attuale per motivi sia psicopatologici
che culturali, poiché l’instabilità o la precarietà delle istituzioni
relazionali tradizionali (coppia, famiglia) tende a selezionare stili di
attaccamento ambivalenti o conflittuali e a favorire la formazione di legami
affettivi incostanti o deboli.
Inoltre, a differenza delle dipendenze da sostanze,
questa riguarda direttamente la relazione interpersonale; da ciò ne deriva, a
livello intrapsichico dei partner di
coppie disfunzionali, una labilità dell’oggetto d’amore che
entra in risonanza con fattori della personalità e con elementi di
vulnerabilità spesso dovuti a traumi pregressi. Analizzando la personalità dei
partner si scopre un’unione quasi perfetta tra loro, fondata su tutto ciò che
di più lontano può esserci dall’amore: dolore, aggressività, sopruso, violenza,
manipolazione, eppure sono relazioni capaci di resistere nel tempo prima della
loro inevitabile conclusione.
Chi sceglie di stare con una persona dipendente
d’affetto, ha spesso anche lui il bisogno di essere accudito e di avere una
relazione di tipo figlio-madre anziché alla pari, per dinamiche e problematiche
familiari irrisolte. Oppure, al contrario, può trovarsi ad esercitare un ruolo
di persona sfuggente, irraggiungibile o rifiutante (per esempio quando il
dipendente d’affetto cerca un partner sposato
o non interessato alla relazione), per sentirsi così al centro dell’attenzione
e compensare anche lui dei vuoti affettivi mai colmati.
Da qui la sofferenza e la degradazione: più si
cercherà di essere rassicurati da lui e più lui tenderà a fuggire, e lei, per
evitarlo, si adatterà a fare da infermiera, da serva, madre, sorella,
confidente e aiutante; chi ama troppo tende a cambiare
la persona amata per renderla simile a come vorrebbe lei fosse e
per questo asseconderà il partner nel suo
egoismo.
La dipendenza affettiva sembra essere quasi una
patologia esclusivamente femminile (c.ca il 99%): la maggior parte di queste
donne ripropongono con il proprio partner copioni
già vissuti con i genitori o un genitore in particolare di cui hanno ricercato
sempre l’affetto con scarsi risultati. Ciò che scatta nella mente di queste
donne è la possibilità di ottenere una sorta di
risarcimento riuscendo a conquistare l’amore di un partner "difficile"
come lo era il genitore.
Permane una
tendenza a ri - attribuirsi nella propria vita di coppia, più o meno
inconsapevolmente, un ruolo simile a quello vissuto con i genitori che si è
tentato a lungo di cambiare affettivamente, in modo da poter riprovare a
ottenere un cambiamento nelle risposte affettive, pressoché inesistenti,
ricevute nella propria vita.
Eppure queste donne sembrano, così come i partner a cui si accompagnano, incapaci di vivere
un amore maturo, al contrario sembrano essere attratte dall’amore romantico (S. Mitchell), ovvero un modo di
mettersi in relazione con un’altra persona così da generare emozioni, stimolare
il gioco dell’immaginazione e nutrire il rispetto per certi ideali, un amore
ricercato per dare un significato alla propria vita, ma destinato a svanire subito
perché privo di quelle caratteristiche che invece rendono un amore maturo.
Nella dipendenza affettiva, ci si annulla completamente per l’altro la cui
esistenza, presenza e vicinanza diventa sostanziale al proprio benessere, alla
percezione di essere vivi e utili.
L’amore
dipendente si mostra perciò con le seguenti caratteristiche:
- è
ossessivo e tende a lasciare sempre minori spazi personali;
- è
parassitario e basato su continue richieste di assoluta devozione e di
rinuncia da parte dell’amato;
- è
caratterizzato dalla stagnazione e dall’autoassorbimento, ossia da una
tendenza a ripiegarsi su se stesso e a chiudersi alle esperienze esterne
per paura del cambiamento e necessita di mantenere fermi alcuni punti
certi, soffocando qualsiasi desiderio o interesse personale in nome di un
amore che occupa il primo posto nella propria vita
Il Noi
non comincia dove finisce l’Io, ma dove avviene l’incontro tra un Io e un Tu,
un incontro che però non è fusione altrimenti il Noi diventa un’entità informe
in cui ci si confonde.
Detto ciò non rimane che chiedersi: è
possibile guarire?
Il principale problema nella risoluzione delle
dipendenze affettive è certamente l’ammissione di avere un problema.
Esiste una
forza inerziale nel rimanere nella dipendenza, ma c’è una forza inerziale anche
nel renderla obbligatoria.
Sono giochi
vecchi che si rompono quasi da soli, basta liberarsi e si va, senza che nessuno
ci insegua. Esistono infatti dei confini estremamente sottili tra ciò che in
una coppia è normale e ciò che, nell’abitudine cronica, diviene dipendenza. La
difficoltà nell’individuazione del problema risiede anche nei modelli di amore
che, come si è detto, una persona affettivamente dipendente conserva nella
propria memoria e che fanno ritenere determinati abusi e sacrifici di sé come
"normali" in nome dell’amore.
Spesso, paradossalmente, è la speranza che fa
sopravvivere il problema e che tende a cronicizzarlo: la speranza in
un cambiamento impossibile, soprattutto in un contesto relazionale in cui si
sono consolidati, se non persino pietrificati, dei ruoli e dei copioni da cui
è, più o meno, impossibile uscire.
È sempre
molto difficile venirne fuori perché resta la nostalgia lacerante di qualcosa
che si doveva avere e che non si è avuto, desiderando inconsciamente un
risarcimento affettivo per quanto non è stato possibile. Separarsi da
un’esperienza positiva è più facile e naturale che separarsi da un desiderio
legittimo ed inappagato.
Così,
paradossalmente, l’inizio del cambiamento arriva quando si raggiunge il fondo e
si sperimenta la disperazione, che rappresenta la possibilità di sotterrare le
illusioni che hanno nutrito a lungo il rapporto patologico, quando si ha la
percezione del vuoto, della perdita di identità, della rabbia e dalla
frustrazione di non vedere ricambiata la dedizione e il proprio amore.
Durante
questi dolorosi momenti ci si convince che qualcosa non va, trovando la spinta
necessaria ad uscire dal circolo vizioso della dipendenza affettiva.
La guarigione dalla dipendenza affettiva non è il
distacco dalla persona o dalle persone da cui si era dipendenti, bensì l’acquisizione di una propria autonomia affettiva.
Questo è ciò che permette di entrare consapevolmente e
realmente in relazione con gli altri, perché li vogliamo, perché li scegliamo,
non perché abbiamo bisogno di loro per esistere.
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