Ieri ho incontrato una vecchia amica che non vedevo da
tanti anni. La conosco dai tempi dell’infanzia, e ha sempre avuto un debole per
me. Io in realtà ho sempre fatto di tutto per evitarla, per passarci assieme
meno tempo possibile. Non mi è mai piaciuta, forse il suo aspetto, i suoi modi
di fare, la sua voce. Non so perchè, ma non l’ho mai apprezzata, nonostante lei
abbia sempre fatto di tutto per starmi accanto. È una vecchia amica, ci
conosciamo dai tempi dell’infanzia. Si chiama Noia.
Ero ai giardini con mio figlio. Mentre si divertiva a far
scendere un cavallino dallo scivolo, io sedevo su una panchina, senza niente da
fare. Non avevo un libro da leggere, avevo dimenticato a casa il telefono,
quando l’ho vista arrivare. Mi si è seduta accanto, e ha preso a parlare, con
quel tono lamentoso strascicato che dopo poco mal sopporto. Era tanto che non
la vedevo, ma non mi era mancata per niente. Dopo cinque minuti non ne potevo
più, volevo solo che se ne andasse, la sua presenza mi irritava.
La noia, non siamo più abituati alla sua compagnia.
Viviamo in una società che ha fatto di tutto per
sopprimere la noia, per eliminare ogni momento vuoto, ogni attimo di
esitazione, ogni spazio bianco. E ci è riuscita, ma a che prezzo.
È in questa perenne fuga dalle trame della noia, che
internet ha spopolato. Abbiamo creato mezzi di comunicazione che ci
permettessero di abbattere le distanze, di interconnetterci in ogni momento
della giornata, di condividere ogni attimo, ogni pensiero, ogni immagine, di
esaltare al parossismo il nostro bisogno intrinseco di animali sociali. Abbiamo
creato nuove tecnologie che ci hanno permesso di comunicare istantaneamente con
un nostro amico dall’altra parte del mondo, in tempo reale. Ma ci siamo
scordati di chi avevamo vicino.
In questa corsa all’interconnessione, abbiamo perso
qualcosa, siamo diventati intellettualmente e socialmente presbiti: abbiamo
imparato a vedere lontano, rinunciando a mettere a fuoco ciò che ci circonda.
Sappiamo cos’ha mangiato a colazione un nostro amico che non vediamo più da
vent’anni, ma non sappiamo cosa ci ha appena detto nostra moglie.
Sappiamo che tal de tali ha appena avuto un figlio di tre chili e mezzo, ma non lo abbiamo mai visto, non sappiamo che odore abbia, non sappiamo quanto siano soffici le pieghe cicciottelle delle sue braccia. Nonostante abiti a dieci minuti da casa nostra.
Sappiamo che Maria è stufa che tutto le vada a finire sempre nello stesso modo, che Davide ha trovato un verme in una mela, e che Giuseppe e Lucrezia hanno una relazione stabile da un anno.
Ma ignoriamo chi essi siano. Sono nomi, di gente sconosciuta, che chissà perchè figura tra le nostre amicizie di Facebook.
Sappiamo che tal de tali ha appena avuto un figlio di tre chili e mezzo, ma non lo abbiamo mai visto, non sappiamo che odore abbia, non sappiamo quanto siano soffici le pieghe cicciottelle delle sue braccia. Nonostante abiti a dieci minuti da casa nostra.
Sappiamo che Maria è stufa che tutto le vada a finire sempre nello stesso modo, che Davide ha trovato un verme in una mela, e che Giuseppe e Lucrezia hanno una relazione stabile da un anno.
Ma ignoriamo chi essi siano. Sono nomi, di gente sconosciuta, che chissà perchè figura tra le nostre amicizie di Facebook.
E senza telefono, in compagnia della mia amica Noia,
compagnia di cui avrei fatto volentieri a meno, ho iniziato a guardarmi
attorno, ad osservare il film delle persone che scorreva accanto a me.
Ho visto una coppia di innamorati, lui che parlava,
mentre lei assorbiva altro da uno smartphone.
Ho visto un padre far scorrere ossessivamente il dito sullo schermo del telefono, sbirciando senza interesse ogni aggiornamento di stato di un social forum.
Ho visto un gruppo di ragazzi su una panchina, in silenzio, ognuno impegnato a scrivere qualcosa a qualcuno dall’altra parte della città, senza proferire parola tra loro.
Ho visto un bambino cercare con insistenza le attenzioni di una madre distratta, curva sul suo telefono, che sorrideva di chissà quali verità, senza accorgersi di suo figlio.
Ho visto un padre far scorrere ossessivamente il dito sullo schermo del telefono, sbirciando senza interesse ogni aggiornamento di stato di un social forum.
Ho visto un gruppo di ragazzi su una panchina, in silenzio, ognuno impegnato a scrivere qualcosa a qualcuno dall’altra parte della città, senza proferire parola tra loro.
Ho visto un bambino cercare con insistenza le attenzioni di una madre distratta, curva sul suo telefono, che sorrideva di chissà quali verità, senza accorgersi di suo figlio.
E ho alzato gli occhi, mi sono messo a leggere quello che
mi circondava, gli alberi salire nel cielo, le loro fronde a coprirmi dal sole,
lo stormire delle foglie, il cinguettio allegro di invisibili uccelli, l’oro
dei riflessi nel letto dell’Arno, le canoe coi loro remi solcare le acque, un
cane riportare una palla al proprio padrone, le auto scorrere vicino con le
loro storie e le loro realtà.
E in quel momento sono stato contento di aver dimenticato
a casa il telefono. Ho guardato la mia amica Noia, e l’ho ringraziata, perchè
senza di lei non mi sarei mai ricordato di leggere il mondo che mi circondava,
godendo di quegli attimi preziosi, di quelle sensazioni, di quelle immagini
comuni che troppe volte mi dimentico di vivere.
Quante cose ci perdiamo ogni giorno, curvi su quegli
schermi luminosi, ad assorbire l’inutilità, ad impregnarci di cose senza senso,
a perdere tempo, a perderci la bellezza della vita, che ogni giorno si dispiega
accanto a noi.
E a quel punto mi sono alzato, sono andato da mio figlio
ancora intento a far scivolare il suo cavallino. “Babbo”, mi ha detto, “vuoi
giocare anche te?”. L’ho guardato, gli ho sorriso, ho salutato la mia
amica, che se ne stava andando, e mi sono sentito felice.
Nessun commento:
Posta un commento