Dall’11 settembre
2001 sino al recente attacco al Bataclan a Parigi, Il nostro mondo occidentale
è sembrato progressivamente sempre più disorientato, mentre molte delle
certezze su cui esso si reggeva hanno iniziato a incrinarsi pesantemente. Gli
europei, così come gli americani, si sentono sempre meno sicuri a casa loro,
nelle piazze, nei mercati, al cinema o al concerto: in tutti quei luoghi
familiari dove ci sono più persone che si riuniscono.
In questi giorni,
anche in Italia si sta generando una vera e propria ondata di preoccupazione,
se non di paura, a causa della quale molte persone hanno rinunciato a viaggi
già programmati da tempo, a passeggiate in pizzeria con gli amici. In qualche
caso false notizie su possibili imminenti attentati si sono diffuse molto
rapidamente, propagando panico e spavento. Falsi allarmi o allarmi infondati si
susseguono in queste giornate in quasi ogni città italiana. A volte può bastare
uno zainetto dimenticato nel vagone di un treno per insospettire qualcuno e
mobilitare gli artificieri.
A Parigi persino
Disneyland ha chiuso per alcuni giorni a causa della scarsa affluenza di
pubblico ma soprattutto del terrore di attacchi terroristici, i musei sono
deserti, mentre le persone per darsi coraggio organizzano degli incontri di
piazza grazie al tam-tam dei social network. Anche in Italia alcuni genitori
preferiscono in questo momento non far uscire i propri figli, molte zone di
ritrovo sono più vuote del solito e la visibile allerta delle forze armate
dislocate in quasi tutti i luoghi pubblici delle grandi città, certo non
contribuisce a far sentire le persone più serene.
Ma
questa percezione di estremo pericolo per l’incolumità nostra e dei nostri
cari, è davvero fondata?
C’è da premettere che
il Ministro dell’Interno, il 22.11.2015, ha dichiarato che “nessun Paese è a
rischio zero” per gli attentati. Se ne deduce che quanto avvenuto a Parigi,
o negli Stati Uniti nel 2001, potrebbe accadere anche da noi in Italia.
Ciò significa che
ciascuno di noi dovrebbe mettere in conto di poter restare vittima di un
attentato? Probabilmente sì, ma non più di quanto sia probabile restare vittima
di un incidente ferroviario, per il quale però le nostre preoccupazioni
sembrano notevolmente inferiori. Eppure le vittime di incidenti ferroviari,
solo nel nostro Paese, sono state circa 500 negli ultimi 5 anni e 101 solo nel
2014 (61 morti e 40 feriti in gravi condizioni).
La
psicologia suggerisce che l’essere umano è portato a
sottostimare o sottovalutare alcuni problemi e amplificarne altri. Ciò accade
specialmente quando si ritiene di avere un certo “controllo” sulla situazione
problematica, come ad esempio quando si guida un’automobile. È infatti noto che
si tenda ad avere più paura dell’aereo che di mettersi alla guida di un’auto.
Nonostante nel secondo caso le probabilità di incidente siano molto maggiori
che nel primo, si ritiene erroneamente di diminuire il nostro rischio controllando
noi direttamente l’auto piuttosto che affidandoci alla guida di un pilota che
non conosciamo e che non abbiamo mai visto. In pratica accade che
illusoriamente si reputi meno rischioso ciò che si riesce a gestire
personalmente.
I
numeri però raccontano una storia differente. Se poi si parla di vite
umane, essi rischiano di apparire impietosi.
Nei paesi europei
(rapporto UE marzo 2015), durante il 2014 si sono contati 25.700 morti e
200.000 (duecentomila) feriti gravi a causa di incidenti automobilistici: in
pratica 70 morti e oltre 500 feriti gravi ogni giorno. Nelle sole strade
italiane nel 2014 hanno perso la vita più di 3300 persone, 578 delle quali
erano pedoni.
Ogni anno 83.000
italiani muoiono per effetto del fumo, questo fa dire al Ministero per
la Salute (mag.2015): «Il tabacco provoca più decessi di alcol,
aids, droghe, incidenti stradali, omicidi e suicidi messi insieme. L’epidemia
del tabacco è una delle più grandi sfide di sanità pubblica della storia. L’OMS
ha definito il fumo di tabacco come "la più grande minaccia per la salute
nella Regione Europea"»
Un altro dato che
spesso si tende a rimuovere dalla nostra coscienza collettiva è quello secondo
cui, a leggere gli ultimi dati provvisori Inail, in Italia soltanto nei primi 8
mesi del 2015 ben 752 persone hanno perso la vita a seguito di infortunio
subito sul luogo di lavoro: 94 morti “bianche” al mese.
Tutto questo senza
volersi soffermare sulle vittime della criminalità e della mafia, che
quotidianamente colpiscono uccidendo e ferendo centinaia di persone ogni anno.
La
nostra paura di restare vittime di un attentato terroristico è dunque
ampiamente sovradimensionata rispetto alle reali probabilità che ciò accada
proprio a noi.
Nonostante questa
evidenza, l'essere soggetti a scelte di altri individui non controllabili e
pericolosi, contribuisce non poco a diffondere una percezione di impotenza.
Come potremmo, infatti, agire su persone che non siamo in grado di controllare
in alcun modo e la cui cultura sembra sfuggire a ogni nostro tentativo di comprensione?
Occorre aggiungere, inoltre, che Il cosiddetto “pensiero magico”
(Piaget, 1955) secondo cui il bambino struttura la propria capacità di
rappresentazione della realtà, si ritrova in forme anche massicce nell’adulto.
Non sempre, difatti, il nostro pensiero si fonda su una logica rigorosa e una
stabile capacità ipotetico-deduttiva, bensì ciascuno di noi, tende a
operare scelte più in base alle proprie emozioni, percezioni e sensazioni che
rispetto all’esame obiettivo dei dati disponibili(Giusberti e Nori, 2000).
Ecco anche perché molti di noi temono più la jihad che il recarsi al
lavoro in automobile, o l’essere disattenti rispetto alle più elementari norme
di sicurezza sul lavoro.
Diffondere paura, far
credere di poter colpire chiunque e dovunque, lasciare che a orientare le
nostre scelte quotidiane siano le emozioni più cupe piuttosto che valutazioni
razionali, ottenere che le nostre reazioni siano sempre più aggressive,
spingerci a generalizzare la nostra paura verso chiunque sia differente da noi per
fede e per cultura: di tale genere sono precisamente gli obiettivi dei
terroristi.
Non va quindi sottovalutato
il pericolo terrorismo internazionale, che però in questi suoi effetti
psicologici può essere persino più devastante della deflagrazione di una bomba.FONTE:
http://www.medicitalia.it/news/psicologia/6170-psicologia-percezione-sopravvivere-paura-jihad-tempo-isis.html?refresh_ce
Nessun commento:
Posta un commento